Il mio #IceBucketChallenge

Ringrazio il mio amico Dario Mancino – che ho avuto il piacere di conoscere durante il mio anno di Presidente del Parlamento regionale dei Giovani pugliesi – per avermi nominato nel suo #IceBucketChallenge.
Tuttavia, non parteciperò con la consueta secchiata d’acqua gelata, per diverse ragioni. Sono triste? Pazienza.
Conosco personalmente dei malati di SLA e credo che questa malattia porti via tutte le energie dell’intera famiglia del malato e credo che una secchiata non basti e soprattutto non serve millantare donazioni, fare video in cui criticare chi si butta un secchio d’acqua in testa, sventolando un assegno. Non esistono cavalieri in questo campo, non esistono scusanti. Non esiste un modo giusto e un modo sbagliato di interessarsi ad un problema. Se questa catena porterà dei suoi frutti, ben venga una rua replica, ma ognuno partecipa come meglio crede.
Quando sento parlare di SLA, di tumori, leucemie, sento un groppo in gola, perché ho perso persone a me molto care a causa di un tumore, ma il groppo in gola si fa sempre più persistente quando vedo il mio Paese che pullula di showman con un secchio in testa, ma senza un briciolo di programmazione sulla ricerca, di investimento di nuove risorse nel campo scientifico. L’Italia è un paese che investe pochissimo nella ricerca e nell’istruzione. Quando sentiamo parlare di scuola e università, pensiamo sempre e solo al lavoro dei docenti, agli stipendi, senza mai accorgerci che la barca affonda e che, senza ricerca, l’istruzione finirà in un vicolo cieco.
Ecco l’ Ice Bucket Challenge fatto a modo mio. Non dirò quando e quanto donerò, perché non devo farmi bello davanti a nessuno.
Io nomino tutti i ricercatori italiani che sono all’estero e che mi piacerebbe vedere tornare in Italia.

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