Lettera di Togliatti a De Gasperi sulla nobiltà della politica

1945/1946 da sinistra NENNI, RUINI, VERNOCCHI,DE GASPERI e TOGLIATTI ©Publifoto/Gruppo Olycom
1945/1946 • da sinistra NENNI, RUINI, VERNOCCHI, DE GASPERI e TOGLIATTI

19 agosto 1954, muore Alcide De Gasperi. 21 agosto 1964, muore Palmiro Togliatti. Due grandi personaggi della storia politica del nostro Paese. Nella ricorrenza del 60° anniversario dalla morte dell’uno, e del 50° dell’altro, si scatena un dibattito pietoso, scatenato dalle dichiarazioni dell’amicone Giuseppe Fioroni, il quale, in barba ad ogni tipo di rispetto nei confronti della cultura politica della sinistra italiana, del Partito Democratico e del nostro Paese, ha proposto di dedicare la Festa dell’Unità nazionale proprio ad Alcide De Gasperi. Poiché è palese a tutti la simpatia che provo nei confronti di Fioroni, evito di mandarlo a quel paese, per l’ennesima volta, da questo blog.

Tuttavia, proprio per lo spirito nuovo che deve coinvolgere la politica italiana, e il Partito Democratico soprattutto, ho scelto questa lettera di Togliatti, indirizzata proprio a De Gasperi, sulla “nobiltà della politica”. Ho inserito un piccolo cappello introduttivo, per localizzare temporalmente la lettera, nel suo contesto storico di riferimento.

Durante la campagna elettorale per le amministrative del 7 aprile 1946, Togliatti, prendendo spunto da un discorso di De Gasperi, negava che esistesse un «problema religioso» nei rapporti fra i partiti di massa e nella società italiana, appellandosi a un’adeguata considerazione delle posizioni ufficiali del Pci, ribadite di recente nel suo V Congresso. Chiedeva quindi a De Gasperi il mantenimento di un reciproco rapporto di rispetto, che facesse da argine allo scatenamento delle passioni elettorali. De Gasperi, nella sua risposta, riconosceva i passi avanti compiuti dai vertici del Pci sulle questioni religiose, ma non li riteneva sufficienti »per ottenere che i credenti, per quanto riguarda soprattutto i problemi fondamentali dello spirito, della famiglia e della scuola, che dovranno essere risolti nella Costituzione, si affidino tranquillamente a loro». Lanciava quindi la sfida della Costituente, che sarebbe stata il banco di prova su cui gli italiani avrebbero potuto giudicare se determinate aperture dei comunisti erano frutto di una »tattica esteriore per conquistare un Paese cattolico o mutamento interiore di propositi e di convinzioni». Inoltre affermava che non si potesse comunque pensare che di colpo fossero sparite le differenze tra cristiani e marxisti, e dunque citare in campagna elettorale questioni legate alla dimensione religiosa appariva pienamente legittimo.

On. Alcide De Gasperi
Presidente del Consiglio dei Ministri
Roma

Caro De Gasperi,
leggo sul «Popolo» che parlando a Viterbo ieri sera avresti detto che «di fronte al problema religioso i comunisti hanno promesso la tolleranza, cioè la non punizione di chi manifesta e professa idee religiose» e proseguito affermando che questo è «troppo poco».

Sono d’accordo con te che sarebbe «troppo poco», e per questo è bene metter le cose a posto. Naturalmente tengo il dovuto conto della difficoltà in cui tutti ci troviamo di veder pubblicati rendiconti esatti dei discorsi che pronunciamo; non posso credere, infatti, che siano da te ignorate le posizioni del mio Partito a proposito di quello che tu chiamo il «problema religioso».

Nella risoluzione del nostro V Congresso, che contiene l’essenziale del nostro programma per la Costituente, è detto che noi rivendiamo libertà di coscienza, di stampa, di culto, di associazione e propaganda politica, sindacale e religiosa.

Nel mio discorso allo stesso V Congresso è stato detto inoltre che noi accettiamo l’attuale regime concordatario né credo ti risulti, in tutta la mia attività di governo, un atto qualsivoglia in contrasto con questa dichiarazione. Da parte mia, non mi risulta di aver avuto con te il minimo contrasto a proposito di una questione che riguardasse anche lontanamente la religione.

Qualora la tua affermazione si riferisse al mio partito, per quanto, trattandosi di associazione privata, non sarebbe qui applicabile la nozione di «punizione», nel nostro Statuto è detto semplicemente che possono entrare nel partito i cittadini italiani di ambo i sessi che abbiano raggiunto una determinata età, indipendentemente dalla razza, dalla convinzione religiosa e dalle convinzioni filosofiche. Nulla a che vedere, quindi, nemmeno per questo aspetto, con ciò che tu avresti detto.

Mi scuserai il fastidio di queste citazioni e di questi richiami; e ti dico subito perché ho voluto infliggertelo.

So che nella lotta elettorale certe esagerazioni sono quasi inevitabili, e non mi impressiona per nulla il fatto che agitatori inesperti e di scarsa buona fede, credendo di ledere la mia troppo solida reputazione di buon italiano, accusino alle volte [te] di tollerare nel Ministero che tu presiedi un Guardasigilli di nazionalità [non] italiana. Credo però che almeno i dirigenti dei grandi partiti nazionali contribuiranno alla chiarezza e lealtà della vita politica e renderanno quindi un grande servizio al paese se, nel discutere tra di loro davanti al popolo, esamineranno, discuteranno, confuteranno le posizioni dei loro avversari riproducendole esattamente, senza contraffazione alcuna. Il mio Partito, che è fiero di aver aperto con la sua iniziativa, per il bene di tutto il paese, l’attuale periodo di collaborazione governativa tra i partiti diversi, si sforza di attenersi sempre a questa regola. Io poi ritengo che se tutti si attenessero ad essa la lotta politica comincerebbe realmente a svolgersi su un piano elevato, del che tutti trarrebbero vantaggio. Ma tu già hai capito che io sono un impenitente idealista, e quindi troppo spesso inascoltato. Spero almeno di riuscire a qualcosa questa volta.

f.to Palmiro Togliatti
Roma, 8 aprile 1946

[Tratto da "La guerra di posizione in Italia - Epistolario 1944-1964" di Palmiro Togliatti. A cura di Gianluca Fiocco e Maria Luisa Righi, con la collaborazione della Fondazione Istituto Gramsci. Pubblicato da Einaudi. 1ª edizione - 2014]
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