Per una boccata di sigaretta

Gli aghi del cedro erano in stato di agitazione. Con movimenti irregolari riempivano, fischiando, il silenzio che avvolgeva quel pomeriggio di vento freddo. La sigaretta era accesa. A fumare erano in due. Luca e il vento, che quella sigaretta consumava più veloce di quanto avesse voluto. Aveva bisogno solo di una sigaretta, ma non era cosa.
Camminava in ciabatte per il corridoio della veranda, cercando un raggio di sole che, testardo, aveva deciso di terminare la sua corsa sul muro di casa, fregandosene delle nuvole e degli alberi. Sotto i suoi piedi, un metro di vuoto lo separava dal vialetto e una lucertola era immobile su un pezzo di legno. Anche lei cercava un raggio di sole. Per un attimo i loro occhi si incrociano, come due che, intenti nel fare la stessa cosa, si lanciano uno sguardo di intesa. Ma quale intesa! Che ne sapeva la lucertola di quello che gli passava per la testa! Se fuori c’era vento, sotto i suoi capelli corvini era in atto una burrasca.

Quel giorno era il primo giorno di estate, eppure di quella stagione, dall’odore di leggerezza e spensieratezza, non vi era traccia.

Continuava a passeggiare, Luca. In una mano la sigaretta, nell’altra se stesso, come se stesse tenendosi per mano. Non era felice, per niente. Sentiva tra le labbra quel gusto amaro che tanto avrebbe desiderato dimenticare. Invece era lì, a pervadere in modo arrogante tutti e cinque i sensi.

Luca era un giovane ingegnere che per lavoro aveva lasciato la propria gente, la propria terra, per stabilirsi in una città a centinaia di chilometri da quella veranda, da quel cedro e da quella lucertola. Pochi mesi prima, aveva trascorso molto tempo da solo, in quella città, in una casa buia e piccola, senza nessuno se non se stesso e il suo riflesso allo specchio. Era come se una mano gigante avesse deciso di prenderlo per il colletto della camicia e lanciarlo in una di quelle case per topi, con l’obiettivo di studiarne i comportamenti per farne un esperimento.

Luca era un ragazzo che non si fermava mai e, con il tempo, aveva imparato ad abbattere barriere che gli impedivano di fare quello che in cuor suo sapeva di volere e di poter fare: lavorare, spostarsi in bicicletta, riprendere la vecchia passione per il giornale, conoscere nuove persone, addirittura iscriversi in palestra. Poi il tasto freeze. E mentre tutto intorno a lui si fermava, senza saperlo, dentro quel ragazzo cominciarono a crearsi microlesioni che presto si sarebbero trasformate in crepe e, in alcuni casi, in calcinacci che rovinosamente si scaraventarono sul pavimento della quotidianità, di lì a poco.

Terminata quella brutta esperienza, prese il primo aereo per tornare dalla sua famiglia, cercando di riconquistare a piccoli passi la quotidianità di sempre. Ma ciò che prima era un granello di sabbia, come colpito da un incantesimo, si era trasformato in un enorme macigno. Tutto sembrava difficile, complicato, tutto. Anche sorridere.

La sigaretta, intanto, era arrivata a bruciare il filtro che supplicava di essere lanciato sul selciato, per terminare la sua vita tra l’erba selvatica e il calore della pietra cotta al sole di mezzogiorno. Fu accontentato, bastava poco. Magari fosse stato altrettanto sufficiente per ritrovarsi e rinsavire, allontanandosi da quello stato emotivo che lo teneva ancorato ai mattoni della veranda. Alzò lo sguardo al cielo e vide che le nuvole, spinte dal vento, avevano cominciato a correre come centometristi. Tutto, sopra la propria testa, correva. Tutto, intorno a lui, si muoveva.

Ad un tratto, le nuvole coprirono il sole e una voce raggiunse le orecchie di Luca.

«Ben ritrovato!»
Si voltò ma non c’era nessuno.
«Non puoi vedermi. Ci sono ma nella mia parte fondamentale: la mia voce»
«Cosa vuoi?»
«Mah…niente di particolare, ti osservavo da un po’ e volevo salutarti. Era da un po’ che non ci si vedeva eh?! Ma sei dimagrito?»
«Sì, 4 chili»
«Si vede»
«Eh…»
«Vabbè, non dirmi niente. So cosa sta succedendo nella tua testa. C’è da coprirsi per bene, c’è una burrasca niente male, tipo da film!»
«…»
«Okay okay, faccio il serio. Comunque, oltre a salutarti volevo anche dirti una cosa»
«Dimmi»
«Non prendertela con te stesso per quello che stai vivendo. Ricorda che per quanto ognuno di noi possa augurarsi di essere solo uno spettatore delle difficoltà umane, queste sono più vicine di quanto si possa credere»
«Sì, ma perché ancora a me? E perché ancora adesso?»
«Tesoro mio, mentre eri intento a cucinare e stirare camicie – che poi, a cosa servisse stirarle se non andavi in ufficio me lo chiedo ancora oggi, ma vabbè! – io dovevo tenere con lo scotch tutto quello che eravamo riusciti a recuperare nei mesi e forse anni prima. Credi che ci sia riuscito alla perfezione? No! Sono pur sempre da solo, non ho nessuno che mi abbia dato una mano. Solo tu e solo io»
«Brutto lavoro, eh?»
«Ma no! Brutto no e neanche semplice, ma di certo importante e soddisfacente»
«Ma come soddisfacente?»
«Ma certo! Ecco, quando tu sei a pezzi o non sei felice è perché qualcosa dentro di te è fuori posto. Ma dopo aver rimesso ordine, è proprio nel rivederti tornare quello di prima che trovo la mia soddisfazione più grande»
«E quando pensi di prendertela questa soddisfazione di nuovo?»
«Ci sto lavorando ma tu non mi rendere le cose difficili»
«Cioè? Cosa sto facendo?»
«Beh, prima di tutto smettila di guardarti i piedi in quelle orrende ciabatte, indossa un paio di scarpe e comincia a ritrovare i tuoi spazi e le tue persone»
«Eh…le mie persone…»
«Sì, le tue persone, Luca. Le tue persone. E per “tue persone” intendo tutte, nessuna esclusa! Anche quelle che ti guardano non capendo se il vero Luca fosse quello di prima o quello di adesso»
«Non tocchiamo questo tasto, per piacere!»
«Ma tocchiamolo eccome, invece! Lo vuoi capire che tu – come nessuno – non sei bianco o nero o grigio o giallo o verde o arancione?»
«Ma che stai dicendo?!»
«Dico che non possiamo pretendere di essere semplici con gli altri perché non lo siamo con noi stessi. Noi siamo complessi perché complesse sono le emozioni che viviamo e i problemi che ognuno di noi può vivere sono generati dal contrasto che quella complessità autoalimenta»
«Ti sei messo a fare il filosofo ora?»
«Lasciami finire, cretino! È inutile che ti chiudi come un riccio, lo so che stai provando in questo momento: rabbia, delusione e quella sensazione di macigno sullo stomaco che ti porta a non respirare. E so a cosa è dovuto e sono qui per aiutarti, come ho sempre fatto»
«Scusami, non volevo sminuire quello che stavi dicendo»
«Amen. Nessun problema. Ora però concentrati sul mio messaggio: di cosa hai paura? Hai paura di perderti o di perdere qualcuno?»
«Beh…ecco…»
«Vedi?! Stai provando a scegliere se essere bianco o nero! Ma sarebbe solo una effimera illusione pronta a sciogliersi come neve al sole alla prossima occasione. Tu sei entrambi, e anche molto altro! Lo vuoi capire, zucca vuota?!»
«Esserlo però non equivale a dimostrarlo, né tantomeno a saperlo spiegare»
«Perché spiegarlo? Come fai a spiegare qualcosa che non sai neanche tu come definirlo? Anche questa fantomatica definizione risulterebbe solo una parziale rappresentazione di te stesso che si scontrerebbe con il prossimo te davanti ad un episodio della tua vita»
«Devo stare in silenzio, quindi? Ma come faccio a spiegarlo a chi ci tengo?»
«Se qualcuno ti ha conosciuto mentre eri “bianco”, per poi ritrovarti “nero”, dalle solo tempo di capire che non hai cambiato colore, ma che sei solo colpito da una luce diversa. E con ciò voglio dire che a seconda di ciò che viviamo e sentiamo, quel colore cambia, trasformandoti in un connubio di colori»
«Il tempo…ma secondo te posso dire “dammi tempo”?»
«E perché no? Scusa, ma stiamo parlando di un esame universitario o qui stiamo discutendo della tua vita e delle tue relazioni umane? Se non ci prendiamo del tempo per le cose che valgono davvero, per cos’altro potremmo prendercelo?»
«Belle parole, davvero. Ma credo che resteranno tali»
«Le belle parole sono parte essenziale del nostro vivere. I grandi discorsi hanno scosso gli animi degli uomini più delle azioni. Certo, dalle parole poi bisogna passare ai fatti, ma su questo non vedo grossi problemi all’orizzonte»
«Vabbè, ma quindi che devo fare?»
«Ah beh…facile così! Vuoi il libretto delle istruzioni? Ahahaha»
«Non ridere, non sto scherzando. Non so cosa fare…»
«Ma sì che lo sai, o meglio: non sai ancora di saperlo. Anche per questo serve tempo»
«Tempo di qua, tempo di la. Insomma, tutto questo tempo e arriviamo a 90 anni…»
«Sì…100 e 150! Ma piantala! Guarda: mi pare di aver fatto un discorso eterno con te e sono passati solo 5 minuti. Non è il tempo scandito dall’orologio a cui devi guardare, ma a quello che ticchetta dentro di te.»
«Quindi, per ricapitolare: devo piantarla di restare fermo, devo ripartire ed essere quello che sono, non avendo paura di dimostrarlo»
«Esatto»
«…con tutte le imperfezioni che possiedo…»
«Esatto»
«…e le persone dovranno solo accettare di prendersi del tempo per conoscere le mie sfumature e apprezzarle o meno»
«E-sat-to!»
«Vabbè, stiamo scadendo nel ridicolo, secondo me. Basta, rientro. Comincio a sentire un po’ freddo»
«Rientra pure. Ma mentre continui a darti del ridicolo e a sminuire la tua sensibilità, ricorda solo che se cerchi qualcosa non la troverai mai. Le più grandi scoperte sono arrivate per caso. Non condannarti per niente e nessuno. Oggi il mare è in tempesta, ma siamo lontani dalla riva ancora 27 miglia, non si vede che l’orizzonte a prua. Stammi bene»
«Grazie per le parole, ma non credo di aver capito il tuo ultimo messaggio»
«Anche per questo serv…»
«Serve tempo…ho capito. Però adesso, scusami, ma ho capito che sei dentro la mia testa, ma chi sei?»

Ma non c’era più nessuno. Solo la lucertola.

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