• Made in Italy & banda larga, binomio vincente

    Made in Italy & banda larga, binomio vincente

    A dirlo è il CEO Google, Eric Schmidt in visita a Roma. “Google pronta ad investire se l’Italia sviluppa la banda larga”.

    Serviva Mr. Google per capire che l’Italia deve fare una scelta di fondo sul proprio piano di sviluppo, se vuole riemergere e non farsi superare da chiunque? Credo proprio di no. Tuttavia Eric Schmidt ha strigliato abbastanza il nostro Paese e, permettetemi, ha fatto bene.

    L’Executive Chairman della Google Inc., passeggiando per Roma ha immaginato cosa possa raffigurare come ricetta ideale per l’Italia per uscire dalla crisi e spiccare (nuovamente) il volo nella produzione, con il “Made in Italy” vittima, nell’ultimo periodo, di contraffazioni e di una concorrenza spietata, oltre che di uno scarso sostegno da parte delle Istituzioni.

    Schmidt parla di banda larga come dei nuovi binari dello sviluppo economico e sociale, come base da cui dar forza alle imprese e alle idee innovative. Di questo ne abbiamo già parlato. Ma ciò che dovrebbe rendere appetibile, più di qualsiasi altra sostanziale motivazione, è l’intenzione di Google di investire in Italia, ma solo se l’internet veloce sarà ormai presente in tutto il territorio nazionale.

    Ma la cosa che il CEO del colosso di Palo Alto afferma e che andrebbe discussa è la specializzazione della produzione: dice bene quando afferma che la California si è specializzata in quello che sa fare meglio – ovvero creazione di nuove tecnologie – ed ora è leader-place mondiale in quel settore (anche se, alla fine, la produzione è tutta in Cina).

    Noi possiamo fare di più: perchè non abbiamo bisogno di produrre su larga scala, perchè il nostro tessuto imprenditoriale si basa sulla piccola-media azienda, non abbiamo bisogno di esportare la produzione, ma possiamo produrre noi, dobbiamo produrre noi, perchè il brand del Made in Italy è imbattibile e deve restare tale. Quelle aziende che oggi producono nei paesi dell’Est-Europa e continuano ad avere il Made in Italy, a mio avviso, dovrebbero subire degli interventi da parte delle autorità europee.

    Bisogna dare energia all’artigianato, alle PMI e soprattutto a chi vuole aprire un’attività imprenditoriale, soprattutto se giovani che hanno preferito restare nel proprio Paese, anziché scappare oltre il confine.

    Le nuove tecnologie sono ormai fondamentali, non smetterò mai di dirlo. Immaginate cosa possa creare un artigiano se nella sua bottega avesse la connessione veloce: un sistema di prenotazione in tempo reale, direttamente sul luogo di lavoro, ad esempio, o un sistema di e-commerce che preveda la consegna organizzata su via digitale, in una rete di distribuzione territoriale e non solo. Oltre a questo, c’è la proposta di Schmidt di affidare ai nostri artigiani delle stampanti 3D e di unirle al nostro design.

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  • Domani sarò da Renzi, per ascoltare

    Domani sarò da Renzi, per ascoltare

    Pur sostenendo un altro candidato alle Primarie del PD per la Segreteria, domani sarò alla Fiera del Levante, a Bari, a seguire “L’Italia Cambia verso” di Matteo Renzi. È importante ascoltare quali progetti ci sono per l’Italia e per il partito, pur divergendo da questi. Un particolare importante che non dobbiamo snobbare è proprio l’ascolto e la pluralità. Questo è il PD che sogno ed io non posso tirarmi indietro incoerentemente.


  • Formazione “Made in Italy”

    Formazione “Made in Italy”

    Gli ultimi dati OCSE segnano l’Italia in una posizione sotto la media europea (ennesima), se non proprio ultima, per formazione professionale dei cittadini adulti che cercano lavoro o sono allocati nei diversi settori.

    L’Italia è ultima per la capacità di comprensione dei testi e penultima (sotto c’è solo la Spagna) nelle competenze numeriche e nel rapporto con la matematica, in generale. Vediamo i grafici per avere un esempio visivo di quello che stiamo dicendo: il primo riguarda la percentuale di adulti, per livello di comprensione:

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    Se poi confrontiamo questa differenziazione con un riferimento alle fasce d’età, allora avremo un’enorme differenza tra generazioni, segno che la scolarizzazione ha fatto notevoli passi in avanti ma, purtroppo, ancora insufficiente, visto e considerato il fatto che ci ritroviamo, comunque nelle ultime posizioni.

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    Dopo aver snocciolato e sintetizzato al massimo quanto riportato dall’OCSE (i dati complessivi li trovate qui) è necessario fare un po’ un quadro generale rispetto alla situazione della formazione professionale in Italia, nelle sue sfaccettature, ma soprattutto, nelle sue differenze tra Nord e Sud.

    Questa scarsa professionalità e preparazione della popolazione – basti pensare agli indici della padronanza della lingua inglese nel settore pubblico (28,7%) e in quello privato (28,6%) – è il risultato di una mancanza di prospettiva del sistema formativo italiano. Un sistema formativo proiettato verso la specializzazione della popolazione dovrebbe coniugare meglio il rapporto tra enti formativi (scuole e università) e le aziende,  le attività produttive del territorio (di questo ne ho già parlato).

    Da dove incominciare – Lo vediamo tutti i giorni, non c’è spazio alla menzogna: le nostre Università meritano spazio, perchè hanno studenti capaci e meritevoli. Chi “governa” le nostre Università deve necessariamente sforzarsi per tessere rapporti con soggetti terzi che possono garantire formazione su campo e una prospettiva sul futuro dei giovani laureati. L’impegno, tuttavia, non deve essere unilaterale: le aziende devono spingere verso questa frontiera della formazione, utile a loro e soprattutto agli studenti, senza dimenticare i diritti di chi affronta uno stage presso un privato o un pubblico (affrontare la questione retribuzione sarebbe una gran cosa).


  • L’Agenda Digitale nel cassetto

    L’Agenda Digitale nel cassetto

    Che l’Italia fosse 100 passi indietro rispetto ad altri paesi europei era più che scontato, ma che si debba temporeggiare su aspetti vitali come l’Agenda Digitale, non è solo una questione di lungimiranza politica, ma di civiltà e di perdita di risorse per lo sviluppo. Di cosa parlo:

    L’Italia, rispetto alle ultime graduatorie europee, si attesta sotto la media europea rispetto agli obiettivi fissati dall’UE nell’Agenda Digitale europea che, nel biennio 20132014, prevede 7 punti da sviluppare:

    1) Creare un nuovo e stabile contesto normativo alla banda larga

    Sono necessari maggiori investimenti privati nelle reti a banda larga ad alta velocità fisse e mobili.Ma si deve lavorare a un nuovo e stabile quadro normativo. Un pacchetto di dieci azioni nel 2013 conterrà raccomandazioni per un accesso alla Rete più fortemente non discriminatorio, una nuova metodologia di determinazione dei costi per l’accesso all’ingrosso alle reti a banda larga, net nutrality e riduzione dei costi per il roll-out della banda larga. Questo programma si baserà su nuove linee guida su aiuti statali e prestiti europei tramite Connecting Europe Facility.

    2) Nuove infrastrutture pubbliche di servizi digitali

    Con il supporto del Consiglio, la Commissione accelererà la diffusione di servizi digitali (in particolare l’interoperabilità transfrontaliera) relativi a identità elettroniche e firme elettroniche, mobilità aziendale, giustizia elettronica, cartelle cliniche elettroniche e piattaforme culturali come Europeana. L’eProcurement potrebbe far risparmiare da solo 100 miliardi di euro l’anno, mentre l’eGovernment sarebbe in grado di ridurre i costi di amministrazione del 15-20%.

    3) Avviare una coalizione per le competenze digitali e per l’occupazione

    C’è bisogno di una coalizione per adottare misure concrete ed evitare milioni di posti di lavoro vacanti in ambito Ict entro il 2015 a causa della mancanza di personale qualificato. La Commissione coordinerà le azioni del settore pubblico e privato per: incrementare i tirocini di formazione, creare collegamenti più diretti tra università e mondo del lavoro, definire accordo profili professionali standard e promuovere la certificazione delle competenze per la mobilità lavorativa. La Commissione, inoltre, fornirà un piano d’azione a sostegno degli imprenditori Web e renderà l’Europa più startup friendly.

    4) Proporre una cyber-strategia di sicurezza

    Sicurezza e libertà online vanno di pari passo. L’Ue dovrebbe offrire gli ambienti online più sicuri del mondo, valorizzando la libertà e la privacy dell’utente. La Commissione fornirà una strategia e una proposta di direttiva per stabilire un livello minimo comune di preparazione a livello nazionale, tra cui una piattaforma online per prevenire e contrastare incidenti informatici, e l’obbligo di segnalazione degli incidenti. Questo stimolerà un più ampio mercato europeo per la sicurezza e la privacy-by-design dei prodotti.

    5) Aggiornare il copyright

    Modernizzare il diritto d’autore è la chiave per raggiungere il mercato unico digitale. La Commissione cercherà una soluzione dei problemi del diritto d’autore attraverso un dialogo con gli stakeholder nel 2013. Parallelamente, la Commissione rivederà e modernizzerà il quadro legislativo dell’Ue diritto d’autore, in vista di una decisione nel 2014 sulle proposte giunte finora.

    6) Accelerare il cloud computing attraverso il potere d’acquisto del settore pubblico

    La Commissione avvierà azioni pilota nel partenariato cloud europeo, che sfrutta il potere pubblico di acquisto per contribuire a creare il più grande mercato cloud del mondo, smantellando attuali barriere nazionali e percezioni negative dei consumatori.

    7) Lancio di una nuova strategia industriale elettronica

    La Commissione proporrà una strategia industriale per la micro-e nano-elettronica, per aumentare l’attrattiva dell’Europa per gli investimenti nella progettazione e produzione, nonché la sua crescente quota di mercato globale.

    Il punto cruciale che non tutti hanno ben compreso è esattamente il valore economico, oltre che sociale, dello sviluppo tecnologico e del proseguimento dell’Agenda Digitale.

    Un piano strategico nazionale che sviluppi i sette punti di cui sopra, aprirebbe a nuovi orizzonti nel panorama italiano: la mancanza di una copertura nazionale di fibra ottica azzoppa e fa scomparire quel punto e mezzo di PIL che garantirebbe, invece, se dalle parole e le programmazioni, si passasse ad agire e a ridurre il digital divide.

    Ma la questione non si conclude con una mera necessità di nuove infrastrutture e nuovi piani di sviluppo ed installazione, c’è di mezzo lo stile di vita e la cultura dei cittadini, una e-culture, se vogliamo essere pignoli: con una copertura della banda larga che raggiunge circa il 95% della popolazione italiana ci si dovrebbe aspettare un utilizzo di massa di questo strumento oramai fondamentale, invece, la popolazione che si connette sul web è pari al 55%. Un divario esorbitante.

    È ovvio che la divergenza si allenterà col passare del tempo (salvo casi difficili da immaginare), ma se tutti utilizzassimo e ponessimo al centro del sistema-paese l’Agenda Digitale e l’utilizzo delle nuove tecnologie, riusciremmo a creare nuovi posti di lavoro (qualcuno ne stima addirittura 700.000).

    Il Governo Letta sull’A.D. ha speso dei provvedimenti (nel pacchetto del Decreto del Fare) – dove, per l’appunto, si liberalizzava il wi-fi libero e gratuito, sconfinando totalmente nel libero accesso ad internet, superando di gran lunga varie ingerenze e possibili emendamenti che prevedevano sistemi di controllo simili al Decreto Pisanu, abolito dall’allora Ministro dell’Interno Maroni nel 2011.

    Il concetto dell’Agenda Digitale si espande anche nel concetto stesso di città e di come debba essere intesa oggi: abbiamo sentito tutti parlare, almeno una volta, di Smart City. Ecco il concetto è proprio questo e va sostenuto in ogni singolo aspetto, perchè vantaggio ne trarremmo tutti, non solo qualcuno.

    Tornando al problema di prima ed a quanto ribadito sul concetto di e-culture, mi pare ovvio che la cultura la si forma nel suo luogo per eccellenza: la scuola. Immaginate se cominciassimo a ridurre sempre di più i libri di carta, a fare spazio negli zaini (salvandoli, magari, da millemila kg di peso). L’e-book deve essere la frontiera della scuola del III Millennio – un passaggio mai ben percepito, mai ben strutturato – simbolo di una civiltà che avanza.
    Sono a conoscenza dei rischi che prendo dicendo questa cosa, ma credo che ai nostalgici e difensori del cartaceo non bisogna obiettare nulla, perchè loro ci sono cresciuti con la carta ed è proprio questo il concetto: far crescere una nuova generazione che interagisca in modo sano e strutturato con le nuove tecnologie.

    Sognare la California non ci aiuta a crescere. Sognando un’Italia con meno analogico e più digitale è la chiave per rendere il nostro Paese protagonista, ancora una volta, dell’Europa e competitiva con il mondo intero.


  • Facebook e Twitter, le cyberdroghe

    Facebook e Twitter, le cyberdroghe

    Facebook e Twitter hanno travolto la nostra vita, cambiando totalmente il nostro modo di intendere le relazioni. I social network ci hanno cambiato la vita in meglio o in peggio? Questa vignetta di Marc Maron la dice lunga. Ed ha ragione.


  • Dopo la crisi, gli Stati Uniti d’Europa

    Dopo la crisi, gli Stati Uniti d’Europa

    Dalle difficoltà attuali emergerà una nuova Europa in cui il ruolo degli stati nazione sarà ridimensionato a favore di un rapporto più diretto con i cittadini. La seconda parte dell’intervento di Geert Mak alla conferenza organizzata da Trouw. Estratti.

    L’11 marzo 1882, più di 130 anni fa, il filosofo e polemista francese Ernest Renan pronunciò un discorso alla Sorbona destinato ad avere un impatto molto duraturo. Si intitolava “Cos’è una nazione?”. “Una nazione è […] una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme”.

    Ancora oggi esistono filosofi e politici europei, specialmente a Bruxelles, che preferirebbero spazzare via lo stato nazione, un mito antiquato e perfino pericoloso del XIX secolo. Costoro considerano la crisi un mezzo per compiere, finalmente, un grande balzo in avanti; sognano ancora una federazione europea.

    Se si applica la lucida definizione di Renan al nostro continente, tuttavia, allora – anche a distanza di mezzo secolo da quando si sono gettate le fondamenta dell’Ue – non resta granché di una simile nazione europea. Se c’è qualcosa che la crisi e la conseguente spinta estrema all’austerità hanno rovinato è proprio quella solidarietà, quella volontà di continuare a vivere insieme una stessa vita, come faceva notare Renan.

    Non è tutto. Il problema di quei grandiosi sogni europei è che nel respingere lo stato nazione, l’importanza del fattore “luogo” non è stata tenuta in debito conto, in linea generale. I formaggi non pastorizzati semi-illegali dei mercati di Dieppe, il caffè fumoso e privo di servizi igienici del paese di Vasarosbec in Ungheria, il cioccolato di Bruges, i pannelli solari di Neukirch, la costruzione della metropolitana di Amsterdam… Che cosa non è stato soffocato dalla grandinata di normative dalle buone intenzioni di Bruxelles?

    Tutti questi, presi singolarmente e insieme, sono sintomi di una federazione europea che negli ultimi decenni ha completamente perso il suo equilibrio. Fin troppe questioni che un normale rapporto federativo, come quello degli Stati Uniti d’America, lascia alla competenza di singoli stati membri – dal formaggio al cioccolato, per esempio – sono amministrati direttamente da Bruxelles.

    D’altra parte, in Europa troppi ambiti politici che in tutte le federazioni sono più o meno gestiti a livello centrale – il settore finanziario, per esempio, e naturalmente la politica estera e la difesa – continuano invece a essere amministrati dalle capitali nazionali. I cittadini europei ne hanno un’acuta consapevolezza. Se c’è qualcosa che mette davvero a repentaglio il supporto all’Unione europea, a parte la mancanza di democrazia, è sicuramente questo.

    Dovremmo riportare in vita lo stato nazione in tutto il suo splendore, come sostengono alcuni? In tal caso, in assenza dell’Ue ma in qualità di europei dovremmo forse occuparci insieme di migliaia di questioni disparate, dalle quote per la pesca agli accordi finanziari alla politica energetica? Per non parlare della questione del clima, che nel XXI secolo si è abbattuta su tutti noi. Il mondo stesso non si è espanso ben al di là dei confini nazionali?

    Che ci piaccia o meno, dobbiamo trovare forme adeguate e democraticamente controllate per questo onnipresente “spazio” europeo. Sarà difficile e problematico, ma non c’è modo di tornare indietro al 1956.

    Dove lo stato nazione potrebbe acquisire un nuovo spazio è nella democrazia europea. Pertanto, è legittimo auspicare l’istituzione di un senato europeo che, come avviene negli Usa, rafforzi la componente nazionale nell’ambito del parlamento europeo e della democrazia europea. Altrettanto importante è la trasformazione dell’ideale nazionale risalente al XIX secolo di “sangue, lingua e territorio” in un ideale più politico, come hanno gli americani. Ormai, questo processo è in corso anche in Europa.

    Questa crisi sarà seguita da un Rinascimento europeo, in un modo o nell’altro. Da questa Unione europea dolorosamente messa alla prova, dovremo ricreare uno spazio europeo nel quale ogni cittadino europeo si senta a casa propria. Meno motivato da sogni e idealismo, temo, e più dalla dura necessità. Non trionfale, ma realistico e modesto. In primis e in assoluto tenendo in maggiore considerazione i valori associati al concetto di “spazio” presenti nelle normative europee e nelle istituzioni. Rispettando, coltivando e quando possibile proteggendo tutto ciò che si associa a quei valori contro la già eccessiva aggressione europea e globale.

    Economie parallele

    Quello spazio deve essere creato anche nel dibattito politico, non liquidando semplicemente tutti coloro che non si sentono più a casa propria nel loro angolo di mondo come i populisti e i nazionalisti. Questi sono sentimenti che l’estrema destra sa sfruttare da sempre. Ma ciò dipende dal fatto che i movimenti progressisti e liberal-conservatori hanno regolarmente prestato troppo poca attenzione alla necessità umana di una casa, di un proprio spazio e di tutto quello che a ciò si associa.

    In secondo luogo, quell’equilibrio può essere ritrovato e ripristinato dedicando più attenzione a quali elementi possono dare un contributo all’Europa. Ovunque, ma soprattutto a sud, stiamo vedendo in che modo, spinte dalla necessità, spuntino ovunque economie parallele, che si basano su un sapere locale, su prodotti locali, su network locali– il che significa, senza alcun commercio e distribuzione – su estensioni locali del credito, su una fiducia locale.

    E infine, l’equilibrio si ripristinerà con l’espansione del concetto di “spazio” che è andato prendendo piede in particolare negli ultimi decenni. Sempre più spesso si vede come tale concetto travalichi gli ambiti nazionali. Talvolta è la regione – che spesso oltrepassa varie frontiere – tal altra è un paesino, sempre più spesso una città.

    Al momento, per esempio, sono per lo più le città i luoghi dove creatività e innovazione fioriscono e si sviluppano malgrado tutto il pessimismo, dove i migranti vanno e vengono, dove i municipi abbattono le barriere nazionali e si avvicinano gli uni agli altri in tutto il mondo. Fin da prima della crisi siamo entrati nel vortice di un processo lungo e difficile. Tra tentativi ed errori ci stiamo dirigendo poco alla volta verso un’Europa fatta di persone, invece che un’Europa fatta di stati.

    fonte: PressEurope.eu


  • Scena straziante da Lampedusa

    Scena straziante da Lampedusa

    Sono 111 le bare che attendono di essere sepolte. L’hangar, dove prima erano depositati i corpi esanimi delle vittime della tragedia che ha colpito un barcone di immigrati in cerca di speranza nel nostro Paese, si è trasformato in una grande camera ardente. Toccante vedere le quattro piccole bare bianche.


  • Nobel per la Pace a Lampedusa

    Nobel per la Pace a Lampedusa

    Checché ne dica l’Europa, l’Italia è l’unico vero fronte per la salvezza della disperazione dei popoli dell’altra parte del Mediterraneo. Lo abbiamo visto con la tragedia delle scorse ore, lo abbiamo visto con moltissime altre situazioni difficili degli scorsi mesi, anni e lo vedremo nei prossimi mesi, anni, forse anche settimane o addirittura giorni.

    Lampedusa è il molo d’Europa e vive sulla propria pelle più di tutti, forse in modo esclusivo ed unico, la tragedia dell’immigrazione e per questo è stato lanciato l’appello per consegnare all’isola il Nobel per la Pace. Con le seguenti motivazioni.

    1. Lampedusa è oggi la più importante porta d’ingresso all’Europa. Dall’altra sponda del Mediterraneo – spinti dalla fame, dal dolore, dalle persecuzioni razziali tribali o religiose – partono centinaia di uomini donne e bambini che per tentare di conquistarsi il diritto a vivere mettono nel conto perfino la possibilità di morire. Lì, su quell’isola, si svolge ogni giorno una nobilissima battaglia in nome e per conto del mondo intero.

    2. A combatterla è una piccola comunità – 6300 abitanti – che mette da parte la sua vita privata e dimentica i suoi interessi legati a una stagione turistica che dura poche settimane all’anno, per impegnarsi in una straordinaria gara di solidarietà. Uomini donne e bambini che fermano lo scorrere della loro vita normale per aiutare e ospitare i sopravvissuti a drammatici viaggi della speranza. Un popolo che non ha mai smesso di essere umano.

    3. Premiare un’isola e i suoi abitanti con un riconoscimento internazionale altamente significativo servirebbe anche a svegliare l’Unione Europea dal suo torpore, da un silenzio talvolta fatto di egoismo e indifferenza, e spingerla a occuparsi del dramma di intere popolazioni di migranti che non può essere affidato alla generosità e all’altruismo di un solo paese o addirittura di un piccolo scoglio in mezzo al mare.

    4. Premiare Lampedusa sarebbe come gridare “alt” allo scandaloso traffico di carne umana sul quale lucrano all’origine mediatori, scafisti e perfino piccoli ras locali e che costituisce per molti governi del Mediterraneo il sistema più semplice per fingere di risolvere, o almeno di allentare e rinviare nel tempo, drammatici problemi di fame e miseria.

    5. Premiare Lampedusa significherebbe infine offrire una piccola ma intensa luce di speranza a chi è costretto ad abbandonare la sua terra e a cercare a casa altrui ciò che non avrà mai a casa propria. Vorrebbe dire che qualcuno nel mondo sta pensando anche a loro, ai dannati della terra, ai morti del mare.


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