Apoteosi del niente e del camaleontismo

Sono le ore 18:15 circa al centro congressi della Fiera del Levante di Bari, mentre salutavo degli amici, dall’altra uscita ecco sbucare una massa inferocita di giornalisti, tutti impegnati a circondare la nuova pop star, Matteo Renzi, che si dirige presso un altro padiglione, dove di lì a poco, tutti i vari “big” del partito si sarebbero intrufolati, forse per un colloquio privato, o forse per ballare la samba.

Certo è che come sono arrivato a Bari, così ho preso la strada per il ritorno: senza niente di nuovo da raccontare, senza una visione delle cose, senza niente di niente.

Prendetemi pure per uno di parte, ma io sono del Partito Democratico da più tempo di qualche astuto commentatore e forse, dico forse, ho a cuore più di qualcun altro le sorti del mio partito. Proprio per questo, mi sarei aspettato un discorso più corposo, più intenso, più carico di contenuti (forse basterebbe solo dire “carico” di contenuti) che cercasse di dare una visione delle cose ad un partito, il PD, che di posizioni nette non ne ha mai avute e che chi vuole soverchiare il sistema deve necessariamente colmare. Ma niente.

Apro una piccolissima parentesi: tra quelle quasi duemila persone ho visto di tutto, ho visto delinquenti, gente che da quando si alza la mattina pensa agli affaracci propri e che della politica non fanno altro che approfittarsene. Ho visto il vomito di una classe dirigente che ha fallito, gli ho avuti accanto, di fronte, dietro. Mi sono sentito pieno di vergogna ad essere lì, in quel momento.
Tra quelle duemila persone, ho visto gente schierata con Renzi solo per portare a casa un proprio risultato personale, chi si vuole candidare ad una carica e chi ad un’altra, chi vuole sentirsi più forte nel proprio partito per ottenere una fetta più grossa, chi dopo le primarie chiederà la testa di qualcun altro. Insomma, lo schifo più totale. Ho ancora la nausea.
Se solo i riflettori fossero stati puntati sulla folla anziché sul palco, avremmo visto tutti cosa c’era e c’è realmente sotto il simbolo “Renzi”, almeno in Puglia (ma io credo in tutta Italia).

Chiusa questa infelice parentesi, vorrei tornare su quanto ho ascoltato: parole che non mi hanno lasciato niente, se non semplici frasi fatte, da ripetere come un pappagallo, ad esempio, “sul carro non si sale, il carro si spinge” oppure “vorrei dare un nome ai sogni dell’Italia”, giusto per farvi qualche esempio.

Cambiare il PD che cambia l’Italia, cambiare l’Italia che cambia l’Europa: ma come? Mi chiedo come?

Vorrei da un candidato alla segreteria del principale partito del centrosinistra, delle idee chiare su ambiente, lavoro, tecnologia, sviluppo sociale, cultura, istruzione, università. Perchè Renzi non ha parlato delle 5 hub della ricerca che ha intenzione di creare? Perchè Renzi non ha parlato dell’abolizione del valore legale del titolo di studio che vuole attuare? Magari tutti quei ragazzi che erano lì, tra il pubblico con gli occhi luccicanti o che erano lì per fare volontariato, si sarebbero resi conto di chi stavano sostenendo. Forse non le dice perchè tanto sente la vittoria in tasca, quella stessa sensazione su cui lui stesso ha posto l’altolà, con immancabile ipocrisia.

Non possiamo continuare a pensare che qualcuno che parla di “establishment che ha fallito” accetti che quello stesso establishment lo applauda e lo porti alla vittoria al prossimo Congresso. Come può costui essere credibile? Come possiamo consegnargli l’Italia, in nome di un tanto richiesto rinnovamento? È questo il rinnovamento? Se così fosse vorrà dire che l’Italia ormai non ha più speranze.

Se oggi la novità deve celarsi dietro una disposizione del palco diversa dal solito, io mi sento di non appartenere a questa novità. Non ho nulla da perdere, se non la dignità e per quanto possa, per molti, essere un optional, io non ho alcuna intenzione di venderla pur di ottenere qualcosa di personale. Mai.

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