• Appunti da un taccuino sulla sinistra

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    Per me, questi, sono giorni difficili. Amici con cui ho condiviso un percorso importante hanno deciso di lasciare il partito, quel partito che volevamo cambiare, partendo da quel congresso del 2013, con un programma innovativo e pieno di grandi speranze. Quella speranza non c’è più, ma forse soltanto in apparenza.

    Scrivo, riscrivo. Ho un taccuino su cui scrivo, ogni giorno, quello che mi frulla per la testa. È, un po’, il mio migliore amico nei momenti in cui mi fermo, guardo nel vuoto e penso. Penso a quello che è successo, a quello che succede e succederà; alle parole spese con tutti coloro con cui ho il piacere di confrontarmi, anche animatamente, ogni giorno.

    Lo dicevo, qualche giorno fa, ci stiamo incattivendo tutti. La pazienza sembra ormai un miraggio e la testardaggine è ormai declinata nel suo significato più negativo, quello di non voler più sentir ragione, di non accettare che qualcuno la pensi diversamente, arrivando anche a tacciarlo con nomignoli di dubbio gusto, che snaturano il dibattito politico.

    Da quando Civati ha deciso di abbandonare il PD, ho sentito un grande senso di smarrimento; uno smarrimento dovuto non per aver perso un punto di riferimento, ma frutto di una forte delusione, forte quanto l’aver creduto nel sostegno di quella visione Ma ora? Ora cosa dobbiamo fare?

    Certo, se si vogliono prendere applausi dagli scontenti, l’unica cosa da fare è dire che “il PD è un calderone di schifo e meno schifo”, dire che la tessera non serve più a nulla e denunciare una “deriva a destra” del partito. No. Non è così che vanno le cose.

    Mi hanno detto che l’unica ragione per cui io mi trovi nel PD è quella di voler soddisfare i miei interessi; per ambizione personale; per “poter mangiare dalla politica, una ghiotta occasione che solo il PD oggi può dare” (cit.).
    Voglio rassicurare queste persone: sono nel PD dal 2010, stavo per finire il 3° anno al liceo; avevo (e ho ancora) solo la voglia di potermi rendere utile alla collettività. Non sapevo neanche cosa fossero gli interessi personali. L’ho imparato dopo, guardandomi attorno.
    E dirò di più: chi dice questo è tra i responsabili del decadimento culturale del nostro Paese; di quella mancanza di visione che oggi ci consegna nelle mani dei populismi, dei qualunquismi e della mediocrità. Un macigno, questo, che non riusciremo mai a toglierci di dosso se non cambiamo rotta prima noi stessi, con il nostro modo di fare e di pensare (e di parlare).

    Visto che ci sono, aggiungo anche una piccola nota al post di qualche giorno fa, in cui spiegavo le mie ragioni per la divergenza politica che ho maturato con Pippo Civati: la sinistra “extraPD” ha sbagliato senso di marcia. L’unico modo per poter migliorare il panorama politico era quello di confluire nel Partito Democratico e non di andar via. Bisognava creare lì un’alternativa a Renzi, alla sua visione, nel rispetto del risultato del Congresso, lavorando pancia a terra per una proposta lungimirante e di sinistra.
    Questo non è stato fatto e, per l’ennesima volta, la sinistra preferisce scindersi, partire dai nomi, anziché dalle idee. Una sinistra che – a sentire l’On. Fratoianni (SEL) – aspettava l’uscita di un nome dal partito per poter creare “gruppi comuni”, come se servisse quel nome per poter partire. Insomma, un progetto che ancor prima di nascere segna già un fallimento culturale; un fallimento culturale che puzza di quel berlusconismo ormai fagocitato da tutto il ceto politico, che spinge i partiti e i movimenti a stringersi attorno ad un nome e su quello strutturare una sintesi, contornata dall’eterna contrapposizione a chi la pensa diversamente. Un’alternativa “contro” non andrà mai da nessuna parte.

    E quindi il punto è se restare o andar via, dichiarare il fallimento delle proprie scelte e abbandonare il gioco quando questo si è fatto duro. Io non mi reputo un duro, ma ho soltanto la testardaggine di chi crede in qualcosa, di chi vuole andare controcorrente (perché, oggi, essere controcorrente significa restare) e sa che è la scelta migliore.

    Mi dispiace per chi è andato via e di chi non ha avuto il coraggio di farlo prima che qualcuno aprisse le danze. Mi dispiace.

    Ecco, se dovessi finire questo post con un augurio, questo sarebbe quello di raggiungere la consapevolezza che la risposta giusta è aggregazione e non disgregazione. Un’aggregazione sana, però, a cui nessuno pone una priorità, neanche e soprattutto chi va via.


  • Grazie, Ed

    Grazie Ed Miliband​, perché con il tuo lavoro e la tua leadership hai fatto sentire un po’ laburista anche me. Hai dimostrato di avere dignità da vendere, di essere un leader carismatico ma senza forzature.
    Ha vinto la paura, ha vinto l’incertezza del futuro. Hanno vinto gli anti-europeisti, quelli che hanno abbandonato l’UKIP per scegliere Cameron, dopo aver promesso un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE.
    Grazie, perché hai dimostrato che un partito storico può rinnovarsi in continuazione e che il fallimento politico non è il fallimento della persona. Sei uscito a testa alta e continuerai ad avere un tuo ammiratore oltre le Alpi.


  • Dignità

    Ha dimostrato di averla, Ed Miliband, leader del Labour Party. Leader dimissionario, dopo la sconfitta alle Elezioni Generali di ieri.


  • Ecco, interroghiamoci anche su questo

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    Marco Damiliano, sull’Espresso, anticipa un’inchiesta che uscirà domani sul settimanale. Parla di un possibile cambio di nome. Ecco, questo è più pericoloso e dobbiamo evitarlo. Oppure vogliamo rassegnarci in partenza?

    Leggi: Fatto l’Italicum, Matteo Renzi pensa a un nuovo nome per il Pd: i Democratici


  • Abbiamo sbagliato tutti, non solo Civati

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    Seguivo Civati sin dai tempi di Prossima Fermata Italia – l’evento organizzato assieme a Renzi. Molti degli attuali renziani d’assalto guardavano con diffidenza quel progetto. Molti non erano nel PD, erano nel centrodestra, oppure strizzavano l’occhio al qualunquismo (o entrambe le cose).

    Al Congresso del 2013 decisi di supportare Pippo Civati, perché riconoscevo nel suo programma un potenziale enorme; un potenziale che ancora oggi custodisce. Invano.

    Durante la fase congressuale ci spendemmo al massimo per sostenere la sua candidatura- una candidatura collettiva, che sentivamo nostra, sperando che da quel momento potesse partire un progetto alternativo a quello di Renzi; a quello dei soliti tromboni, in una eterna fase di riciclo politico.

    Niente da fare. Quella speranza ci ha voltato le spalle lasciandoci in compagnia della delusione. Scottante, difficile da accettare.

    Non si può pensare di cambiare il Paese senza cambiare il partito del 40%, una percentuale di consensi frutto non soltanto di Renzi, ma di tutte le componenti del PD. Chi nega ciò è in malafede, oppure non sa di cosa parla. Era più facile cambiarlo dall’interno, e non dall’esterno. Questa è logica elementare.

    L’ho detto e ridetto, ormai ho perso il conto: molte delle rivendicazioni portate avanti negli scorsi mesi non erano credibili, perché non solo si basavano su una logica di contrapposizione perenne, ma anche perché – con un piede già fuori dal partito – è difficile che quest’ultimo tu riesca a condizionarlo, a far comprendere davvero che quella posizione, assunta in direzione nazionale o in Parlamento, sia frutto di una voglia di contribuire alla costruzione di un progetto politico che pianti le radici nel PD e grazie ad esso cresca.

    La responsabilità di tutto ciò non è da attribuire soltanto a Civati, ma anche all’attuale maggioranza, a quel metodo poco consono per un partito che ha diverse sensibilità al suo interno. Se vinci un Congresso devi non solo realizzare quanto hai detto durante la campagna, ma devi essere capace di trarre ricchezza da quella diversità insita dentro il partito. Facile dire “abbiamo fatto più Direzioni noi in un anno che Bersani in tre“, perché il punto non è quante ne fai, ma come le fai. Molte volte le Direzioni sono state delle pure formalità, diciamocelo.

    Oggi Pippo è fuori, prima di lui qualcuno lo aveva anticipato. Io non ho alcuna intenzione di muovermi da qui, dal mio partito. Sono un nativo democratico, non ho avuto nessuna tessera se non quella del PD. Prima di aderire decisi di studiarmi attentamente la sua Carta dei Valori, ed è proprio in quei valori che trovo la forza ogni giorno, in quei valori che la sua giovanile sviluppa ogni giorno.

    Oggi Pippo è fuori ed io dentro. Sono deluso, me ne faccio una ragione e vado avanti, nel rispetto del risultato congressuale e nel rispetto di chi ha votato quella mozione perché voleva un PD che andasse in quella direzione e non altro.

    Rispetto Pippo e la sua scelta, ma non la condivido.


  • Good luck, Britain!

    Oggi si vota nel Regno Unito, chi andrà al numero 10 di Downing Street non solo segnerà i prossimi anni di governo della Gran Bretagna, ma potrà essere decisivo anche in Europa.


  • I tifosi vanno bene per lo stadio

    Bisogna dirlo a tutti i grandi commentatori (renziani) che in queste ore stanno sfoderando una lucidità politica senza precedenti.
    Violenza inaudita contro Pippo Civati che ha deciso di lasciare il PD, sto leggendo di tutto.

    Mi vergogno.


  • I laburisti in vantaggio secondo un sondaggio

    Leader of Britain's opposition Labour party Ed Miliband speaks at an election rally in Glasgow, May 1, 2015.  REUTERS/Paul Hackett   - RTX1B5KX

    Secondo il sondaggio di Survation, pubblicato a due giorni dalle elezioni nel Regno Unito, il partito laburista sarebbe in vantaggio di un punto percentuale rispetto ai conservatori.

    Il Labour sarebbe al 34 per cento e i conservatori al 33 per cento. Un sondaggio precedente di Populus, sempre di oggi, aveva previsto un testa a testa di laburisti e conservatori al 34 per cento. Mentre un sondaggio di Ashcroft dava i conservatori al 32 per cento e i laburisti al 30 per cento.