• Nota sulla manifestazione di oggi contro la “Buona Scuola”

    Oggi gli studenti e i docenti della scuola scendono in piazza per protestare contro il ddl “Buona Scuola”. 

    Una protesta legittima che dovremmo ascoltare, soprattutto come Partito Democratico.

    I criteri del metodo non sono quelli delineati dalla riforma, mancano molte risposte a problemi importanti del mondo della scuola.

    A tutti coloro che oggi manifestano dico questo: portate le vostre rivendicazioni nei luoghi opportuni, nelle piazze e oltre le piazze, ma non cadete nella trappola dello sparare nel mucchio, perché non giova alla causa.

    La Direzione regionale del PD pugliese ha chiesto il ritiro del DDL, il voto è stato unanime.

    Ognuno lavori per migliorare questa riforma in ogni suo punto, ognuno nei luoghi in cui preferisce battersi.




  • Sulla Direzione regionale di ieri, sul PD di oggi e quello di domani

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    Questa mattina mi sono svegliato diverso dal solito, avevo l’amaro in bocca, un amaro che mi portavo dietro da ieri, dopo la conclusione della Direzione regionale del mio partito.

    Noi Giovani Democratici pugliesi, proprio in quella sede, abbiamo ricevuto un doppio sputo in pieno volto, un gesto che non dimenticheremo, che cambierà gli atteggiamenti, il modo di vivere il partito, la politica.

    Ieri, il PD pugliese ha approvato le liste per le prossime Regionali. Nella lista della Provincia di Bari è stata candidata Anita Maurodinoia, la più suffragata alle scorse elezioni Amministrative a Bari, nella lista di Schittulli (candidato del centrodestra alla Regione); una persona che diceva di essere “più amata di Tatarella“, storico esponente dell’MSI. Uno scempio, politico e umano. Politico per aver, ancora una volta, attaccato fortemente un progetto politico che nulla ha a che vedere con quello che si sta cercando di realizzare. Umano, perché non si da peso alle storie personali, alle scelte del passato, a quelle del presente. Una memoria storica ormai in frantumi, utile solo per le commemorazioni, per prendere qualche applauso.

    A Foggia, c’è un altro caso gravissimo: il PD di Capitanata ha estromesso la candidatura, nella propria lista, del Segretario provinciale dei Giovani Democratici, Francesco Di Noia. Un ragazzo capace, onesto e soprattutto che ha dimostrato negli anni di porre l’interesse comune a quello personale. Anche questa candidatura era frutto di un interesse comune, di un territorio che chiedeva rappresentanza, di una generazione che chiedeva rappresentanza. Una volontà disattesa, per far fronte ad interessi personali della classe dirigente del partito di quella provincia. Questo gravissimo errore costerà caro.

    Il caro prezzo è questo: vogliono metterci all’angolo? Si sbagliano di grosso, hanno ottenuto esattamente il contrario. Ci offrono di candidarci in una lista civica? Non è mai stato il nostro obiettivo quello di candidarci per forza. La nostra candidatura era un modo per suggellare un impegno già chiaro, un impegno che mira a far crescere il partito, a dare rappresentanza degna a tutti quei militanti che vengono presi a schiaffoni ogni giorno da una classe dirigente incapace di sostenere gli interessi della collettività.

    La nostra casa è il PD. Se pensavamo di poter convivere con chi, anche velatamente, poneva veti su di noi, sul nostro progetto, ora non hanno ben compreso quale sia il risultato ottenuto: non cambieremo casa, la ricostruiremo, magari cominciando ad accompagnare alla porta i coinquilini maleducati, poco rispettosi. Il Partito Democratico non è di un segretario provinciale, né di qualsiasi “big”. Il Partito Democratico è di chi fa vivere il Partito Democratico, nei suoi valori, nei suoi propositi. Quelli siamo noi, giovani generazioni impegnate in politica, che dalla sera alla mattina aprono i circoli, i comitati elettorali, fanno volantinaggio, organizzano iniziative, si confrontano con i cittadini – diventando i volti veri ed onesti del PD sul territorio.

    Franco Balbis – soldato, ucciso dai nazifascisti perché partecipò alla Resistenza – nella sua ultima lettera scrisse

    Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero.

    Ieri, i responsabili di questo scempio, hanno sputato anche in faccia a Balbis, hanno offeso il suo sangue, il suo gesto di amore e di speranza verso un Paese capace di saper guardare oltre i propri errori, difendere a spada tratta il bene comune. Penso a ieri e penso a quante volte, Balbis, sia morto invano. Ieri è stata l’ennesima volta.


  • [SongPills] New York – Snow Patrol


  • Per il bene e l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice!

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    Oggi festeggio il 25 aprile con questa lettera, scritta da Franco Balbis*. L’ho letta, per la prima volta, nel libro di Aldo Cazzullo “Possa il mio sangue servire”, da cui, peraltro, trae il titolo.

    La Divina Provvidenza non ha concesso che io offrissi all’Italia sui campi d’Africa quella vita che ho dedicato alla Patria il giorno in cui vestii per la prima volta il grigioverde. Iddio mi permette oggi di dare l’olocausto supremo di tutto me stesso all’Italia nostra ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice! Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero. Lascio nello strazio e nella tragedia dell’ora presente i miei Genitori, da cui ho imparato come si vive, si combatte e si muore; li raccomando alla bontà di tutti quelli che in terra mi hanno voluto bene. Desidero che vengano annualmente celebrate, in una chiesa delle colline torinesi due messe: una il 4 dicembre anniversario della battaglia di Ain el Gazala; l’altra il 9 novembre, anniversario della battaglia di El Alamein; e siano dedicate e celebrate per tutti i miei Compagni d’armi, che in terra d’Africa hanno dato la vita per la nostra indimenticabile Italia. Prego i miei di non voler portare il lutto per la mia morte; quando si è dato un figlio alla Patria, comunque esso venga offerto, non lo si deve ricordare col segno della sventura. Con la coscienza sicura d’aver sempre voluto servire il mio Paese con lealtà e con onore, mi presento davanti al plotone d’esecuzione col cuore assolutamente tranquillo e a testa alta.

    Possa il mio grido di “Viva l’Italia libera” sovrastare e smorzare il crepítio dei moschetti che mi daranno la morte; per il bene e per l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice!

    Franco Balbis*

    *Di anni 32 – uffìciale in Servizio Permanente Effettivo – nato a Torino il 16 ottobre 1911 – Capitano di Artiglieria in Servizio di Stato Maggiore, combattente a Ain El Gazala, El Alamein ed in Croazia, decorato di Medaglia d’Argento, di Medaglia di Bronzo e di Croce di Guerra di 1a Classe – all’indomani dell’8 settembre 1943 entra nel movimento clandestino di Torino – è designato a far parte del 1°Comitato Militare Regionale Piemontese con compiti organizzativi e di collegamento -. Arrestato il 31 marzo I944, da elementi della Federazione dei Fasci Repubblicani di Torino, mentre partecipa ad una riunione del CMRP nella sacrestia di San Giovanni in Torino -. Processato nei giorni 2-3 aprile 1944, insieme ai membri del CMRP, dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato -. Fucilato il 5 aprile 1944 al Poligono Nazionale del Martinetto in Torino, da plotone di militi della GNR, con Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Bracciní, Errico Giachino, Eusebio Giambone, Massimo Montano eGiuseppe Perotti -. Medaglia d’Oro e Medaglia d’Argento al Valor Militare.


  • “Sappia il mio cuore reggere l’urto con il destino della mia Terra”

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    Camminavo. Lo facevo ogni giorno, da quando avevo sei anni. Camminavo da casa dei miei nonni a Via Pairoli n.6, una stradina buia, con un eterno odore di piscio putrido. In quella via ci abitavo, ricordo esattamente quel giorno in cui ci trasferimmo dalla periferia, fu una festa per me, perché avrei cominciato a vivere tra le vene principali della Città. Mi sentivo come un embolo, che da una gamba arrivava al cuore, pronto a far esplodere emozioni nuove e forti. Forse letali per il mio spirito, chi lo sa. Una cosa è certa: da quel giorno, ho conosciuto Peppe, abitava nel mio palazzo. Un ragazzo robusto, dall’aria affranta, ma che non risparmiava mai un sorriso quando incrociava il suo sguardo con il mio. Diventammo amici, penso nei primi tre minuti di chiacchiera. Era un ragazzo indaffarato, gli piaceva leggere libri di storia, militava nel partito di estrema sinistra della Città. Era fiero di quell’impegno ed io ero felice per questo.
    Erano le tre del pomeriggio, dicevamo. C’era un sole tremendo. Ve l’ho già detto che era il 25 aprile? No? Bene, ora lo sapete. La casa dei miei nonni era vuota – loro sono morti anni fa – ci andavo ogni giorno, perché mi piaceva sedermi su quella poltrona comoda che il nonno aveva nel suo studio. Libri immensi sugli scaffali robusti e chilometrici di una libreria in ciliegio tarlato, sposati con la polvere da ormai decenni, con copertine scarlatte e titoli dorati ormai sbiaditi dal tempo. Molti di questi parlavano della Resistenza. Ci teneva tantissimo, a quei libri, perché riguardavano la sua vita. Vi ho già detto che mio nonno è stato un partigiano? No? Bene, ora lo sapete.
    Quel giorno stetti più del solito, in quella casa. Avevo trovato un piccolo blocchetto, una di quelle agendine che oggi sono di moda. Era il diario di quei giorni di battaglia, contro quelli che lui definiva “la feccia della Storia”. Aveva la copertina rossa, pagine deboli che al contatto con le dita sembravano fare la fine dell’ostia con la saliva. Si scioglievano, sgretolavano in un battito di ciglia. Vecchia. Era molto vecchia quella agenda, di questo ne ero certo.
    Di quelle pagine mi colpì una. C’era solo una frase, scritta con un inchiostro tremante più del solito. “Sappia il mio cuore reggere l’urto con il destino della mia Terra”. La lessi venticinque volte, la ripetevo ogni quattro passi, fino a casa. Da quel giorno guardavo il mondo con occhi diversi. Non mi sono dato ancora una risposta. Ma non fu l’unica cosa che mi percosse l’anima, quel giorno.
    Mentre guardavo il soffitto, pensando a quella frase, mi arrivò un sms da Luigi – un amico con cui la sera del venerdì ero solito giocare a carambola, assieme a Peppe. “Accendi la tv sul primo canale. Ora!”. Non capii, ma mosso da una forza che non riuscivo a controllare mi alzai da quella comoda poltrona, mi diressi in cucina, accesi la vecchia televisione che la nonna fissava dall’alba al tramonto. C’era il telegiornale locale, mi era parso di vedere una strada a me conosciuta. Era via Pairoli, sentivo il puzzo di piscio nel naso solo a vederla. C’era molta gente, polizia, carabinieri e un’autoambulanza. Avevano picchiato a sangue Peppe e incisogli sulla fronte la svastica. Fu un paradossale shock per me. Nel giorno in cui si celebrava la fine della violenza nazifascista, quel giorno, quella stessa violenza, beffarda, si era presentata sotto casa, riempiendo di calci e pugni il mio amico Peppe. Alzai gli occhi da quello schermo, vidi la foto di mio nonno. Era come se piangesse.

    Buon 25 aprile. Che non sia un giorno, ma l’eternità.


  • Oggi è la Giornata mondiale del libro ed io festeggio così

    In occasione della Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, ho comprato l’ultimo libro di Aldo Cazzullo, Possa il mio sangue servire.

    Qui una piccola descrizione del libro, per il resto, per quanto mi riguarda, saprò dirvi e, magari, vi racconterò quello che ho provato leggendolo, tra qualche giorno.locandina-cazzullo