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  • Il referendum indipendentista della Catalogna è su tutti i quotidiani europei e non solo. Oltre all’alto valore storico e politico che questa tendenza indipendentista della regione spagnola ha, il tutto viene accentuato dagli scontri in atto in queste ore, su tutto il territorio catalano.

    La Guardia Civil ha avviato, su ordine del Governo centrale, il piano di sgombero dei seggi elettorali adibiti proprio per questo referendum che, costituzionalmente, non è consentito in Spagna. Cominciamo a spiegarlo nel dettaglio, partendo da alcune coordinate costituzionali.

    La Costituzione spagnola – entrata in vigore nel 1978, a seguito della c.d. transicíon dal regime franchista all’attuale monarchia parlamentare – all’art.2, esplicita l’indissolubilità dello Nazione spagnola:

    La Costituzione si basa sulla indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime.

    Un’unica Nazione nella quale sono riconosciute, tuttavia, sistemi di autonomia politica, attraverso un processo ben incardinato, con procedure costituzionalmente previste e di garanzia per la stessa tenuta democratica ed unitaria della Spagna – qualora venga presentata la volontà di ottenere l’autonomia di una determinata regione/territorio, il Governo convoca tutti i deputati e senatori di quel territorio, consentendo loro di partecipare alla stesura dello Statuto che andrà a regolamentare i poteri attribuiti da quella che possiamo chiamare una devolution. Ma torniamo alle coordinate costituzionali.

    Il Titolo VIII Capo III della stessa Costituzione sviscera i diversi principi costituzionali sulle quali basare le attività e la stessa definizione giuridica e politica delle autonomie.

    L’art.143 comma 1, per l’appunto, specifica che

    Nell’esercizio del diritto alla autonomia riconosciuto nell’articolo 2 della Costituzione, le province limitrofe dotate di comuni caratteristiche storiche, culturali ed economiche, i territori insulari e le province costituenti entità regionali storiche, potranno accedere all’autogoverno e costituirsi in Comunità Autonome in base a quanto previsto in questo Titolo e nei rispettivi Statuti.

    La Carta fondamentale, nell’aprire ai processi di autonomia delle Comunità pone delle condizioni che renda realmente fondato tale processo: comuni caratteristiche storiche, culturali ed economiche, oltre che profonde radici storiche di già esistenti entità regionali come, per l’appunto, la Catalogna – che vide la luce sin dal XII Secolo, se pur in forme diverse da quelle che conosciamo oggi, è una di queste, ad esempio.

    Ora, possiamo dire che le Comunità Autonome sono più che riconosciute e garantite in Spagna, sin dall’entrata in vigore dell’attuale Costituzione (l’attuale Statuto catalano è datato 1979, pochi mesi dopo l’entrata in vigore della Costituzione).

    La Corte costituzionale spagnola, già dallo scorso 14 febbraio, aveva ben spiegato che il referendum indetto dal Governo catalano avesse lo stesso valore giuridico del pezzo di giornale con il quale si incarta il pesce alla Boqueria: la Costituzione non prevedendo il Referendum a riguardo, non poteva essere indetto. Punto.
    Ma il il Presidente Puigdemont dichiarò, in risposta, che la Costituzione dovesse passare in secondo piano rispetto alla “nuova legalità catalana”, parole pericolose e sovversive. (Quanti Puigdemont ci sono in Europa? Tanti. In Italia, ad esempio, sono tutti coloro che vorrebbero indire un referendum sull’Euro o sulle leggi di bilancio o, addirittura, chiedere l’indipendenza di alcuni territori, dimenticandosi dell’art.75 Cost., ndr.)

    Un governo di una Comunità Autonoma, rispettoso del sistema costituzionale del suo Paese, avrebbe fermato tali moti e spento gli animi indipendentisti, anziché fomentarli. La Catalogna se si trova in questo stato è, anche, a seguito delle elezioni del 2015, dove i partiti indipendentisti ottennero la maggioranza dell’Assemblea.

    Torniamo alla questione di fondo. Il Governo centrale ricorre alla Corte costituzionale che dichiara l’incostituzionalità di questa consultazione che, invece, in modo prepotente, gli indipendentisti catalani organizzano per il 1 ottobre, cioè oggi.

    Per la salvaguardia dell’indissolubilità della Nazione (art.2) e dei principi regolatori delle Autonomie (art.143 e ss.) il Governo forte del sostegno che la stessa Costituzione gli offre, all’art.155 che, al comma 1, recita:

    Ove la Comunità Autonoma non ottemperi agli obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, o si comporti in modo da attentare gravemente agli interessi generali della Spagna, il Governo, previa richiesta al Presidente della Comunità Autonoma e, ove questa sia disattesa con l’approvazione della maggioranza assoluta del Senato, potrà prendere le misure necessarie per obbligarla all’adempimento forzato di tali obblighi o per la protezione di detti interessi.

    e ancora, al comma 2:

    Il Governo potrà dare istruzioni a tutte le Autorità delle Comunità Autonome per l’esecuzione delle misure previste nel comma precedente.

    Ed ecco quindi l’origine dei disordini di oggi. L’ordinamento costituzionale non è stato rispettato dall’esecutivo guidato da Puigdemont e, di risposta, il Governo Rajoy ha deciso di prendere le “misure necessarie” per obbligare la Catalogna “all’adempimento forzato” degli obblighi imposti dalla Costituzione e per la tutela degli interessi dell’intera Nazione spagnola.

    Su cosa si debba intendere per “misure necessarie” è oggetto di dibattito tra diversi costituzionalisti spagnoli e non solo. Di fatto, in molti sostengono che tra queste misure sia annoverato l’uso della forza, attraverso l’intervento della Guardia Civil; altri ritengono che le misure debbano rimanere all’interno degli strumenti legislativi e, quindi, misure di tipo istituzionale piuttosto che coercitivi. Facciamo degli esempi.

    Il Governo centrale potrebbe, in via interpretativa, procedere ad una graduale diminuzione dei poteri dei componenti dell’Esecutivo della Comunità Autonoma; procedere alla sostituzione dei ministri e dell’intero Consiglio di Governo.

    In linea con i principi costituzionali, la figura che potrebbe sostituire il Presidente e l’intero Esecutivo è quella del Rappresentante del Governo nella Comunità Autonoma, individuato dall’art.154 della stessa Costituzione spagnola.

    Diverse, quindi, le chiavi di lettura sul caso, eppure la più corretta rimane una soltanto: il referendum indipendentista, in Catalogna, è frutto di una esasperazione politica accentuata dalla crisi economica che fa soffrire un territorio molto ricco, rispetto ad altri territori spagnoli e non solo.

    La Catalogna rappresenta il 20% del PIL e oltre il 25% dell’export della Spagna, risultando, inoltre, la 13ª “economia” dell’Unione europea.

    Dico, in chiusura, a chi vuole provare a commentare quanto sta accadendo, che il diritto di voto non sempre corrisponde al principio primordiale della Democrazia, perché il voto può togliere diritti e distruggere popoli, oltreché quanto comunemente associamo a tale strumento di scelta, per l’appunto, democratica. Quindi tale diritto non viene prima dei principi costituzionali, poiché se così fosse, allora le Costituzioni non avrebbero senso nell’esistere e ognuno potrebbe svegliarsi, un bel giorno, e decidere che il territorio su cui giace il proprio condominio debba diventare una Repubblica autonoma.

  • tsipras-and-iglesias

    E Nichi ci riprova. Il problema è sempre quello, nessuno vuole capire. Nessuno vuole ammettere che la sinistra, per essere (ri)costruita, deve bonificare il terreno su cui vuole ergersi.

    Attualmente, in Italia, non c’è un solo esempio di una sinistra strutturata – anche nel suo piccolo – capace di dare risposte concrete e di saper fronteggiare la deriva della politica. Non c’è, perché è essa stessa parte di quella politica ormai in declino.

    A dimostrazione di ciò, c’è un’intera schiera di vecchie glorie, ex-trombati e raccattapalle, sempre in prima fila, quando c’è bisogno di teorizzare un nuovo soggetto di sinistra, oppure quando c’è l’intenzione di sviluppare un progetto politico che con l’Italia non ha nulla a che vedere (vedi Syriza e Podemos) – su cui ci tornerò tra brevissimo.

    Human Factor – il laboratorio lanciato da Vendola, dal 23 al 25 gennaio – non sarà certo il punto di svolta, né un punto di partenza. Non si può costruire nulla con questo cemento, perché spesse volte è solo sabbia e niente più. Serve altro e questo altro ancora non c’è, perché quella che abbiamo noi, in Italia, è una sinistra (in maggioranza) ultra-conservatrice, non solo nelle sue posizioni, ma anche e soprattutto nella scelta delle persone.

    Il rispetto e la difesa delle origini è cosa buona e giusta, perché è da radici solide che prende vita un albero altrettanto forte, ma il punto è che queste radici ormai sono in putrefazione, hanno dimostrato, nel corso degli anni, di non essere all’altezza della situazione. Un partito di sinistra che non riesce a farsi capire dai cittadini e non riesce ad ottenere consensi, deve porsi delle domande centripete e non centrifughe. Molte volte si è vittima di se stessi e non di una incapacità da parte degli altri di ascoltare.
    Il nostro Paese vive una sofferenza immensa e spazio politico per nuovi soggetti ce ne sarebbe pure, ma il punto è che non ottieni un progetto vincente, sommando progetti fallimentari. Non deve essere SEL a mettersi in gioco, ma un intero modo di pensare di sinistra.

    Ho citato prima Syriza e Podemosi due partiti di sinistra della Grecia e della Spagna. Il leader di Syriza è Alexis Tsipras, noto in Italia per essere stato la scotch che ha tenuto “unita” la sinistra extraparlamentare (+ SEL) in vista delle Elezioni europee, con il successivo siparietto sul seggio che Barbara Spinelli decise di tenersi stretto, scatenando l’ira di SEL e Rifondazione Comunista. Il meno noto è Pablo Iglesias, leader di Podemos.
    I due partiti di sinistra, che in questi mesi hanno ottenuto e continuano ad ottenere consensi nei loro rispettivi Paesi, fanno brillare gli occhi ai leader usurati della sinistra italiana, lasciandoli sognare, a giorni alterni, di essere un po’ Podemos e un po’ Syriza, senza sforzarsi di intraprendere un percorso che prescinda da altri partiti, soprattutto stranieri. Un progetto spontaneo, insomma, niente di simulato o copiato. Perché è vero che Syriza e Podemos sono il risultato di una unione di altri partiti e movimenti di sinistra, ma è anche vero che la Grecia e la Spagna non sono l’Italia.

    E se non si comprende questo, non si è (di) sinistra, ma solo una cozzaglia di personaggi in cerca di sbancare il lunario, priva di quella cultura aperta e propositiva. Per intenderci: a mischiare le minestre son bravi tutti. È nell’inventare una nuova ricetta che c’è la vera difficoltà.

    Un quadro preciso l’abbiamo ottenuto durante la conferenza stampa di sostegno alla candidatura di Tsipras alle elezioni del 25 gennaio in Grecia. A vedere alcuni c’era solo da mettersi le mani tra i capelli.

    Ma il punto è sempre uno: vogliamo ritornare a qualche anno fa? Con un centrosinistra frammentato, disorganizzato, capace di far cadere un governo dalla sera alla mattina? Oppure è forse il caso di farsi un esame di coscienza e trovare dentro di sé la ragione di una deriva centrista del centrosinistra italiano? Non è che si è troppo poco credibili?

  • In Spagna la situazione si fa sempre più incresciosa. Lo vediamo sui giornali, in tv e sui vari siti sparsi nella blogosfera. Tutti raccontano la vicenda sulla legge anti-aborto che deve farci riflettere parecchio, perché è in gioco la libertà dell’individuo, un diritto fondamentale che nessun governo, nessun provvedimento può portare via.

    Le donne europee sono scese in piazza per protestare contro questa oscenità, una macchina del tempo che riporterebbe al Medioevo quella parte d’Europa, dove i matrimoni gay sono riconosciuti, dove questi possono adottare dei bambini. Un gigantesco passo indietro, non solo per la Penisola iberica, ma per tutta l’Europa e non solo.

    Gli europei non possono rimanere indifferenti davanti a questo pericoloso evento che scatenerebbe un effetto a catena in molti Stati del Continente, travolgendo, come un fiume in piena di idiozie, una civiltà fragile, piegata dalla crisi e da una confusione dell’opinione pubblica che desta serie preoccupazioni.

    Ma se di Europa vogliamo parlare, allora la soluzione non può che essere presa lì, nel cuore pulsante dell’UE, il Parlamento Europeo e le altre Istituzioni, tra cui, soprattutto, la Commissione Europea che si appresta ad essere rinnovata – con la speranza di far cambiare rotta ad un esecutivo, per molto tempo, con il freno a mano tirato su molte decisioni importanti, di vitale importanza, caratterizzanti lo spirito fondativo su cui regge l’UE.

    L’Unione Europea non può essere solo presente in materia economica, non può intervenire con tempestività solo per quanto riguarda default e rischi economici nazionali. L’Unione Europea deve intervenire per parificare gli ordinamenti interni degli Stati membri, attraverso un regolamento europeo (o una direttiva, dipende da cosa e come si vuole andare a regolare) che spazzi via gli ennesimi (storicamente parlando) attacchi alla libertà delle donne, alla loro dignità, al loro essere donne e proprietarie del loro corpo. Lo Stato non può sostituirsi a loro, per nessuna ragione al mondo.

    La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), all’art.8 paragrafo 1 riporta:

    1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata
    e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

    Leggere questa bellissima ed importantissima frase (che solo frase non è), più e più volte, riesce a parlarci da sola e porre in evidenza come il rispetto della vita privata sia un Diritto dell’Uomo, imprenscindibile e da tutelare.
    Se poi vogliamo fare i pignoli, al paragrafo 2 dice:

    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica
    nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia
    prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società
    democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla
    pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla
    difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione
    della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle
    libertà altrui.

    Non credo che l’aborto sia un pericolo per la sicurezza nazionale, o alla pubblica sicurezza, al benessere economico (???), alla difesa dell’ordine ecc…ecc. Alla protezione dei diritti e delle libertà altrui? Credo lo sia il contrario: negare la possibilità di abortire è un attentato alla protezione dei diritti e delle libertà altrui, perché un organo dello Stato entra a gamba tesa nella vita privata di una donna e sceglie al suo posto. Sulle tempistiche ci potrà essere un dibattito e magari confermare la fase “90 giorni” e “post-90 giorni” con relative diversità di trattamento, o alternativamente, come lo è (ancora per poco, forse) nella stessa Spagna, fino alla 14ª settimana, oppure fino alla 22ª solo se ci sono complicanze per il feto (complicanze che, se la legge venisse approvata, non sarebbe più oggetto di possibile aborto, sul piano giuridico), o ancora, qualsiasi altro sistema degno di essere preso in considerazione e valutato.

    Tanti sono i percorsi che l’Europa dovrà ancora affrontare, ma la difesa dei propri cittadini da dei movimenti bigotti ed egoisti, che non hanno la minima concezione del significato di “convivenza” in una comunità, credo sia un passaggio dovuto, da porre in atto subito.

    Ricordiamo che una legge anti-aborto mette in grave pericolo le donne, perché queste se vorranno abortire lo faranno comunque e sarà aborto clandestino, con mezzi di fortuna e poco sicuri. Uno strazio. Fermiamo chi vuole fermare la civiltà e ridiamo alle donne la libertà che meritano.

  • Ho avuto il piacere di ricevere questa lettera, da un ragazzo spagnolo che, per tre mesi, ha vissuto nel nostro Paese. Credo che siano parole chiare, nette e penso anche di sconforto, per un giovane che vede il proprio Paese deriso e additato da tutta l’Europa. Ecco la lettera.

    10 miliardi di euro. Questo è ciò che hanno tagliato dall’istruzione pubblica e dalla sanità. E questo é anche ciò che è stato fatto per evitare che Bankia (la più importante banca spagnola) fallisse. I cittadini spagnoli vivono una menzogna. I nostri politici si sono arresi, non sanno cosa fare, loro guardano il loro paese andare a picco, cercando di nasconderlo.
    Mi sto rendendo conto che la Spagna è il peggior paese dell’Unione Europea. Infatti, molti politici stanno pensando di uscire (come nazione, ndr) dall’UE. Verremo cancellati dal mondo. Mi si diceva che su Facebook siamo liberi di esprimere quello che vogliamo, non dovrebbero dirmi niente se insulto i capi politici, il “cacciatore di elefanti” (Re Juan Carlos, ndr), il nuovo traditore (Rajoi, ndr) o tutti i corrotti di questo paese dove ci hanno cacato (senza farsi vedere) e del quale portano con orgoglio la bandiera. Non ce la faccio più. Mi dichiaro apertamente ANTI-SPAGNA, perchè non mi identifico con un paese di ladroni, corrotti, magnati, bugiardi e traditori al potere, e disoccupati e affamati nella strada dove si privatizza il pubblico (o direttamente si chiude).
    Dove gli uffici sono tutte menzogne e metà della gente non paga le tasse.
    Ritorniamo ai carri con cavalli, alla peseta, alle pecore, alle strade di terra, a piantare meloni per non morire di fame e sete cazzo!
    È questo il paese dove vengono gli immigrati? Bella merda gli abbiamo preparato. Se io fossi un immigrante, in Spagna non andrei manco morto. Però di questa merda non frega niente a nessuno, nessuno la leggerà anche se lo traduco in inglese, perchè l’interesse è rivolto solo a vecchi e politici. No, non lo scrivo per te, Davide, ma può essere utile se lo traducessi in italiano e lo pubblicassi sul tuo blog. Io non farò parte della fuga dei cervelli. Farò parte della loro espulsione. E ora traduco questa merda in inglese così che gli stranieri vedano come stiamo. Sempre che qualcuno lo legga.

    Un grande abbraccio,
    Alberto.