• Giusto per capire

    Vorrei capire diverse cose. Prima di tutto dove si voglia arrivare con questa situazione di disagio che io sto provando (e credo molti altri) su una situazione politica difficile – che va risolta quanto prima per non trasformare ogni volta il dibattito interno come uno strappo – e, anche, per la battuta infelice di Mineo. Seconda cosa, per quale assurda ragione tutte le volte che c’è un dissenso si sente nell’aria puzza di scissione. Io lo dico chiaro e tondo: il PD è il mio partito e lavoro per cambiarlo in meglio. Sarà difficile, sarà un sogno, sarà, forse, ingenuo credere di poterci riuscire? Io da quando faccio politica non ho mai preso posizioni strumentali, che mi abbiano reso più facile la vita nel partito.
    Vivo la mia vita da membro di una comunità politica con la consapevolezza che ci sono persone mature, per bene, disponibili al dialogo e alla condivisione. Nei Giovani Democratici così come nel PD. Per questo credo che serva il rispetto di un principio fondamentale: il rispetto della dignità delle persone. Questo rispetto non lo hanno portato ne Mineo, ne Renzi. Da qui ripartiamo, dai nostri errori, per migliorarci. Deve essere questa la nostra forza. Non un cognome.


  • Gioca a Dama, Presidente?

    Gioca a Dama, Presidente?

    Quello che sta succedendo, in queste ore, è tragico, molto tragico.

    Corradino Mineo e Vannino Chiti, senatori del Partito Democratico, sono stati sostituiti in Commissione Affari Costituzionali del Senato, perché portatori di una differente visione della riforma del Senato, rispetto a quella Boschi-Renzi, e perché entrambi avevano intenzione di far pesare nella discussione in commissione i loro emendamenti, proiettati verso la salvaguardia dell’elettività dell’Aula.

    Bum! Un colpo di spugna e Mineo e Chiti non sono più membri della commissione, in alternativa verrà posto qualcuno più propenso all’idea di un Senato non elettivo e che, magari, non si ponga tante domande sulla questione. So per certo che in Commissione si rappresenta il gruppo, ma se da un lato c’è stata una forzatura, dall’altra è stata lanciata una bomba a grappolo.

    Quando ho appreso questa notizia, devo esservi sincero, ho avuto un sussulto di rabbia, ma dopo aver riflettuto con calma e attentamente, credo che il problema più che numerico o di posizionamento, sia politico (come spesso capita).

    La questione che dovremmo porci è se sia giusto considerare i parlamentari come delle pedine da spostare a proprio piacimento, senza dare un minimo valore alla persona, in quanto essere umano, in quanto essere pensante, con una propria dignità, con una propria intelligenza. Governare non è come giocare a Dama.

    Non sto facendo retorica, ma credo che questo non sia risolvibile con delle semplici parole. Cosa vogliamo raggiungere in questo modo? Qual è l’obiettivo? Se Renzi crede che una riforma costituzionale passata in questo modo sia utile al Paese, si sbaglia. Crede sia conforme ai principi della Costituzione? Crede che questa sia una legge come tutte le altre?

    L’Assemblea Costituente scelse un iter abbastanza complesso per la modifica della nostra Carta, probabilmente perché sua intenzione era di blindare la Costituzione nei confronti di partiti che, in modo unilaterale, avrebbero voluto modificare la Costituzione a proprio piacimento. Ma non mi fermerei qui: la Costituzione va rivista e modificata con una larghissima maggioranza, simbolo di una mediazione tra diversi punti di vista, simbolo di una collaborazione tra le forze politiche che, oggi, non vogliono collaborare e che quindi il Governo potrebbe finire schiantato contro un muro e portarsi con se anche il PD.

    Pensando con malizia, potrei immaginare un disegno di Renzi, un po’ alla House of Cards o, in chiave nostrana, un disegno paradalemiano, con l’intento di far “scoppiare” il gruppo parlamentare e il partito, facendo allontanare esponenti della minoranza (autonomamente, come è successo con l’autosospensione dei 13 senatori), ormai rimasta da sola (nel senso di una sola, visto che delle due iniziali, una di queste è in una fase di osmosi verso il renzismo dell’undicesima ora, lasciando pochi superstiti).

    Forse mi sbaglio, forse credo in un partito che sta svanendo, nella sua accezione più alta, nella sua natura di casa, di polis dove poter discutere, potersi confrontare e poter essere ognuno alla pari di tutti.

    Per l’ennesima volta voglio ribadire un concetto, mi sembra ridicolo farlo ma, a quanto pare, è una necessità: il PD ha preso il 40% alle Elezioni europee, 11 milioni di voti, 11 milioni di elettori che non hanno votato il PD “perché c’è Renzi”, ma perché c’è un progetto che riesce a convogliare la speranza degli italiani, un progetto in cui Renzi è parte integrante, ma non sostanza unica. L’arroganza con cui si afferma che è più importante il voto degli italiani a quello dei parlamentari mi rattrista molto, poiché la voce grossa non la facciamo con i nostri alleati di governo (di destra), ma contro quella parte a sinistra del PD che, con tutta franchezza, cerca di porre alternative alla discussione e che, a mio avviso, ha portato alla posizione di Mineo e Chiti, proprio perché manca qualcosa di fondamentale all’interno del PD, in questo momento: la calma.

    Sia ben chiaro, non la calma intesa come immobilismo, ma come strumento per instaurare una discussione equilibrata, composta, con le dovute riflessioni, senza rincorrere la lepre, ma cercando di lasciar perdere questa voglia matta di soddisfare la pancia della gente, vogliosa di “fatti”. I fatti arrivano comunque, se non in 2 giorni, ma in 3, arrivano comunque e magari migliori di quelli presentati, perché frutto di una discussione più strutturata.

    Credo che il Partito Democratico abbia grandi potenzialità, indipendentemente dalle persone, ma per la concezione stessa di partito che rappresenta. Proprio per questo credo che si debba confrontarsi nel merito, migliorare i momenti di discussione, non trasformarli in semplici passerelle, dove ognuno dice la sua e alla fine della fiera si fa come si era detto in partenza.
    Certe volte, credo che la Direzione Nazionale sia un po’ una giostra, dove molti salgono sul cavallo, fanno il loro giro (discorso), fino a quando il giostraio non decide di staccare la spina e spegnere tutto.

    Sono convinto che, se si fosse strutturata una discussione monotematica sul tema della riforma del Senato, focalizzandosi sui contrasti, sulle sfumature e sui diversi progetti sul tavolo, probabilmente non avremmo raggiunto questa crisi interna così forte.

    Se poi vogliamo essere proprio democratici e vogliamo valorizzare i nostri iscritti (non elettori, ma iscritti), lo strumento dei referendum interni al partito sono cosa buona e giusta. Su questo blog ne ho discusso abbastanza sull’argomento e credo sia sempre il miglior strumento per porre fine ai dissidi tra dirigenti e lasciare che la base dia il suo parere in merito. Poi, sono certo che anche i parlamentari (tutti) ne trarrebbero le dovute conseguenze.
    Un segretario dovrebbe comportarsi in questo modo. Dovrebbe.


  • Ho aderito al Roma Pride

    L’ho fatto perché credo che sia importante, nel nostro Paese, aprire una seria discussione sui diritti civili e che questa porti ad un ampliamento degli stessi in Italia.

    Fatelo anche voi. Spingiamo l’Italia ad avere un sussulto di dignità, di coerenza e di rispetto.

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  • Bamboccioni si nasce o si diventa?

    Bamboccioni si nasce o si diventa?

    Marco Bracconi, su Repubblica, scrive che i bamboccioni esistono veramente e ne da una piccola descrizione, un ritratto sociologico.

    Io non so quanto possa essere giusto utilizzare queste etichette, ma di certo c’è un problema di fondo che va analizzato in ogni sua parte.

    L’ISTAT ha pubblicato il dato sulla disoccupazione in Italia: 13,6% in tutto il Paese, per poi vedere che tra i giovani arriva al 46%, per non parlare del 61% di giovani meridionali che sono alla ricerca (o meno) di un lavoro.

    Lo ripeto qui, ma su questo blog ne ho discusso parecchio: il problema va oltre un semplice ritratto sociologico dell’individuo, c’è un virus letale che circola nel nostro Paese da molto, moltissimo tempo. Questo virus è il lavoro nero che strappa chiunque da qualsiasi controllo dello Stato, nascondendo, dallo sguardo degli uffici di collocamento, dell’ispettorato del lavoro, persone costrette a vivere in situazioni quasi da schiavitù, con paghe infime, nessun diritto e l’umiliazione di non potersi costruire una vita.

    Che ci siano ragazzi abbandonati a loro stessi e che abbiano gettato la spugna ancor prima di incominciare, è scontato, ma è quanto più urgente cambiare rotta e per farlo bisogna strappare tantissimi lavoratori dal mondo del nero, punire chi non regolarizza il lavoro, chi ne approfitta. Magari, non con una lotta armata (anche se lo Stato ha tutte le armi a disposizione per monitorare e sconfiggere il fenomeno, vedi Agenzia delle Entrate), ma con una serie di provvedimenti utili a suscitare nei datori di lavoro (e nei prestatori di lavoro) l’interesse verso la convenienza della regola.

    Ma sarà questa la risposta giusta? O forse in questo Paese l’unica via possibile alla sopravvivenza è quella di abbassare la testa e accettare tutto ciò che ci troviamo davanti?

    Se è così, bisogna correre, più veloci che mai, verso un nuovo sistema di sostegno alle imprese, lavorando con una filosofia ben precisa: se migliora la vita dei cittadini, lo Stato non può che trarne beneficio, anche nel grigiore dei conti economici. È così, dobbiamo capirlo. Punto e basta.


  • Siamo agli albori del Web 3.0?

    Siamo agli albori del Web 3.0?

    Due sentenze, di aprile e maggio scorso, hanno aperto un varco nella Rete, dalla quale potrebbero entrare i diritti umani che, nel libero mondo virtuale, non vengono rispettati. Dalla staticità del Web 1.0, alla dinamicità del Web 2.0, ora passeremo alla costituzionalità del Web 3.0?

    Come tutti voi sapreste, in questo momento ci troviamo nel Web 2.0 che, a differenza del 1.0, ha sostituito alla staticità, al tecnicismo, alla bassa accessibilità a servizi di editing e condivisione, tecnologie avanzate, in grado di garantire anche all’utente meno evoluto (sul piano tecnico) la fruibilità di servizi ormai ben noti a tutti, come i blog, la tecnologia wiki (vedi la filosofia di Wikipedia) o, esempio per eccellenza, la nascita dei social network hanno, di fatto, abbattuto i muri della presenza di miliardi di utenti sparsi per tutto il mondo. Da grandi numeri di utenti, derivano grandi problemi, come quello della privacy, messa a dura prova a causa di Facebook (esempio tra tutti), nel quale chi si iscrive è tenuto ad inserire informazioni personali, oltre alle proprie foto e video. Ma la grandissima presenza di dati personali sul web, pone un problema serio che andrebbe affrontato a livello europeo, non da un pinco pallino qualsiasi, ma da esperti del diritto e da politici illuminati, capaci di dare una sterzata positiva ed innovativa ad una regolamentazione delle informazioni presenti su internet, senza cadere nella censura “senza se e senza ma”, ma creando una prospettiva ben precisa, chiara, ma soprattutto utile. Questo problema se l’è posto il Prof. Stefano Rodotà, già Presidente dell’Autority sulla Privacy, prendendo spunto da due casi giuridici recenti.

    Possiamo dire che comincia a prendere forma una costituzione per la Rete, un vero Internet Bill of Rights? Alcuni fatti recentissimi giustificano questa domanda. In aprile e maggio la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha pronunciato due importanti sentenze in materia di diritto alla privacy: una ha dichiarato illegittima una direttiva europea che, per motivi di sicurezza, prevedeva modalità sproporzionate di raccolta e conservazione dei dati personali; l’altra, su richiesta di un cittadino spagnolo, ha imposto a Google di eliminare il link che rendeva liberamente accessibili alcuni dati riguardanti un suo debito non pagato.

    E ancora

    Ricordo sinteticamente i principi di finalità, proporzionalità, necessità e la norma della Direttiva europea 95/46, presente nelle legislazioni nazionali, che dà alla persona interessata il potere di opporsi, per “motivi legittimi”, al trattamento di dati personali che la riguardano, anche se raccolti in maniera legale. Proprio partendo da queste premesse, erano già state rivolte moltissime richieste ai motori di ricerca che potrebbero ora essere anche classificate come manifestazione del right to be forgotten.

    Il problema è serio e va di certo affrontato in sede Europea. Ecco, in risposta a chi non crede che l’UE giochi un ruolo fondamentale nelle nostre vite, credo che lì, in quelle sedi, può giocarsi una partita importante da non sottovalutare, poiché può portare a due scenari, uno catastrofico – cadendo in un principio di censura senza limiti e regole, e dall’altra uno innovativo, positivo per il web e per i cittadini europei (e di conseguenza di tutto il mondo) – con una costituzionalizzazione di internet, dando spessore e forma ai diritti sanciti nella Carta fondamentale dei diritti dell’UE, agli art. 7 e 8, oltre che a diverse direttive trattanti tale tema (una la citava poco più sopra lo stesso Rodotà). Perciò la domanda sorge spontanea: Siamo agli albori del Web 3.0? Il Professore risponde così:

    Qualcuno teme che, muovendo da queste premesse, si possa giungere a un Web 3.0 dominato dal potere dell’interessato di controllare i dati che lo riguardano. Questo è un modo per travisare la questione. A quel Web 3.0 si dovrà guardare come ad uno spazio costituzionalizzato, dove gli Over the Top o altri padroni del mondo non possano considerarsi liberi da ogni regola o controllo.

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  • Una lettura domenicale: Beni comuni, riprendiamoci quello che è nostro

    Ho deciso di dedicare, la domenica, uno spazio ad un articolo interessante, su cui dovremmo soffermarci a riflettere e trarre le dovute considerazioni.

    Oggi vi consiglio di leggere l’editoriale di Paolo Berdini su Left, riguardo il nostro territorio, i nostri beni primari e tutto ciò che può chiamarsi patrimonio.

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  • Beppe Grillo Presidente (a loro insaputa)

    Beppe Grillo Presidente (a loro insaputa)

    Quello che si è detto, in questi giorni, ha raggiunto quantità infinite. Sul Partito Democratico, su Matteo Renzi, su Silvio Berlusconi, soprattutto su Beppe Grillo e sul Movimento 5 Stelle. “È stato un flop”, “si deve dimettere”, “ma da cosa? Non ricopre nessun ruolo!”, “forse si dimetterà dall’anagrafe”. Ecco perché, invece, Grillo può dimettersi e da cosa.

    Risale ad un po’ di tempo fa, il video in cui Grillo dichiarava che, in caso di fallimento, si sarebbe ritirato dal Movimento. Alcuni giornali lo riportano in relazione alle Europee, alcuni lo collegano alle scorse elezioni politiche. Ma il punto non è questo, o meglio, non del tutto, perché, tralasciando le sue dichiarazioni, molti si aspettavano una reazione da parte di Grillo, coerentemente con quanto dovrebbe fare un vero leader, il quale, dopo aver fallito elettoralmente, prendendone atto, si dimette dall’incarico ricoperto. Un possibile scenario, immaginato non solo dagli esterni.

    Subito dopo la batosta elettorale, per il M5S, si è aperta una fase nuova, sintetizzata magistralmente da Marco Travaglio, che la definisce, al momento, disastrosa (il che stupisce, vista la tendenza di Travaglio verso il M5S, anche da parte del suo giornale), per il suo altalenarsi tra negazionedisperazione, oltre al documento dell’ufficio comunicazione del movimento, che indica il cappotto nero e i capelli alla cocker spaniel di Casaleggio, come possibile fattore di perdita di voti (sarà pure vero, chi lo sa!), certo è che il guru che citava Guerre Stellari dal palco di Roma, pare essersi rinchiuso nel suo armadio in difesa del suo guardaroba.

    Tralasciando una nota ironica dovuta, navigando per la rete, mi sono imbattuto in due documenti ufficiali riguardanti il Movimento 5 Stelle. Non sono documenti qualsiasi, ma atti notarili, riportanti uno lo statuto (quello vero, che non c’entra nulla dal non-statuto dove, per esempio, si indica la sede del M5S coincidente con il blog di Grillo, ma in realtà, c’è una via e un numero civico – Via Roccatagliata Ceccardi, n. 1/14, Genova) e l’atto costitutivo, un documento molto interessante, al centro del mio post di oggi (troverete i documenti originali alla fine della pagina).

    Tralasciando il fatto che, nello Statuto, Grillo ha inserito un principio fondante per la sua “associazione non riconosciuta”, quale il M5S: gli eletti eserciteranno le loro funzioni senza vincolo di mandato. “Alla faccia del senza vincolo di mandato“, direbbe qualcuno. Come dargli torto.

    Nell’atto costitutivo, il notaio Dott. Filippo D’Amore ha trascritto gli incarichi ufficiali del Movimento 5 Stelle, legalmente validi: Giuseppe Piero Grillo detto Beppe ricopre l’incarico di Presidente del Movimento 5 Stelle, Enrico Grillo, invece, riveste il ruolo di vice Presidente, mentre il commercialista di Grillo, Enrico Maria Nadasi, il ruolo di Segretario.

    Oltre al ruolo di Presidente, Grillo è il proprietario esclusivo del logo ufficiale del Movimento 5 Stelle (nell’allegato “A” dell’atto) e del blog, in quanto canale ufficiale del movimento.

    Peccato per l’On. Luigi Di Maio, il quale oltre ad essere quasi entusiasta di un Farage futuro Primo Ministro britannico, descrivendolo come un “leader lungimirante” (su Farage consiglio di leggere qui o qui), dichiara “Riguardo la leadership, Beppe Grillo al massimo può dimettersi dall’anagrafe come Beppe Grillo, non so da cosa si dovrebbe dimettere”.

    Documenti alla mano, “pare” che Grillo un posticino all’interno del M5S lo occupi, lo dice un atto notarile, siglato da Grillo e registrato il 18/12/2012, sempre a Genova.

    Per il povero Casaleggio nessun ruolo, probabilmente mentre i tre di cui sopra erano al notaio, lui era intento a giocare ad Age of Empires o a comprare un nuovo cappellino, possibilmente nero con visiera. Chi lo sa.


  • Il voto secondo le classi sociali

    Ecco un altro studio affrontato da SWG sulle classi sociali del nostro Paese.

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