• Continua il dibattito

    Continua la discussione scaturita dal complesso di inferiorità che ha colpito, tragicamente (aggiungiamo noi), Stefano Feltri – giornalista del Fatto Quotidiano – in merito alla scelta di studiare una materia umanistica anziché scientifica. Secondo il giornalista la laurea è un investimento economico. E basta. Perciò dovremmo scegliere il nostro percorso universitario, nello stesso modo con cui scegliamo una macchina o una casa.

    Oggi vi consiglio di leggere questa interessantissima riflessione di Luigi Daniele, sul suo nuovo blog. Colgo l’occasione per augurargli, pubblicamente, buona fortuna con il suo “spazio” personale.


  • L’etica dei principi vs. l’etica della responsabilità

    L’etica dei principi vs. l’etica della responsabilità

    Le vacanze, come ogni anno, offrono del tempo prezioso per ritrovare se stessi e per riflettere su quello che sarà e su quello che si è fatto fino ad ora. Uno strumento molto utile, a tal proposito, è senza dubbio il libro.

    Ho appena finito di leggere un libro tratto da una conferenza di Max Weber, tenuta all’Università di Monaco nel 1919: La politica come professione. È un testo che consiglio di leggere, non per una banale tendenza a leggere tutto ciò che ha nel titolo la parola “politica”, ma perché è illuminante e dire che mi sono ritrovato nelle parole utilizzate da Weber è dire poco.

    C’è sempre qualcosa che ti rimane più impressa, rispetto ad altri concetti e ad altri aspetti del pensiero weberiano di questa conferenza. A me ha colpito lo sdoppiamento dell’etica in due tipologie: l’etica dei principi e l’etica della responsabilità.

    Banalmente, l’etica dei principi è incarnata da chi lotta e agisce mosso dai soli principi che ritiene di custodire e voler concretizzare con le proprie azioni. Il soggetto che rispecchia tale descrizione è colui che, oltremodo, ritiene stupidi e ignoranti tutti coloro che la pensano diversamente da lui, che non hanno i suoi stessi principi e non sono mossi dallo stesso fervore. Oggi individuare tali soggetti non è per niente difficile, ma ci tornerò in un secondo momento.

    L’etica della responsabilità, invece, è l’opposto di quella dei principi, se presa isolatamente: agire secondo responsabilità significa burocratizzare l’azione, renderla risultato di effetti concatenati, sviluppati a tavolino, strettamente legati ai loro effetti nella realtà. Agire secondo l’etica della responsabilità, oggi, significa approntare una mera azione amministrativa: per raggiungere l’obiettivo x devo fare e z; per poter fare y devo ottenere ab c. Di questo modello di azione, a mio modo di vedere, ne è intrisa la classe politica attuale, classe di funzionari e burocrati della politica, ma non di politici di professione.

    Per Weber, il politico di professione – quello vero – è colui che agisce sia secondo l’etica dei principi e sia secondo l’etica della responsabilità. Un sistema a due che offre, non soltanto, una capacità di lettura del mondo completa, ma le stesse etiche offrono al politico di svincolarsi dal mero corso della Storia e farsi Storia.

    Oggi chi agisce secondo l’etica dei principi? E chi secondo quella della responsabilità? C’è qualcuno che rappresenta l’unione di entrambe? Chiaramente, al mondo, come in Italia, esistono tutti e tre gli esempi, ma dovendo individuare quale categoria oggi detenga il potere, la difficoltà nel farlo è pari a zero: oggi il potere è animato dall’etica della responsabilità. La classe politica è composta da funzionari e burocrati della politica, da quelli che Weber chiama anche imprenditori della politica, cioè coloro che credono di gestire un partito o una Nazione come un’azienda. L’agire della classe politica è assimilabile al concetto di semplice amministrazione, di mera gestione delle cose, ordinata o meno che sia. Questo metodo è sbagliato, come sbagliato è l’altro, basato sull’etica dei principi. Perché sono sbagliati entrambi? Perché una sola etica non porta da nessuna parte.

    Ma se abbiamo individuato coloro che agiscono secondo l’etica della responsabilità, chi agisce secondo l’etica dei principi? Tutti coloro che definiremmo tifosi della politica. Ovviamente Weber non parla di tifo, ma osserva come chi è mosso da tale etica è munito da paraocchi, da una taratura culturale fittizia che impedisce ogni tipo di confronto, ogni tipo di scambio di idee. Chi la pensa diversamente da lui è il responsabile del male del mondo ed è uno stupido che merita di soffrire nel male da lui stesso provocato.
    Fare due più due e subito l’associazione di idee giunge ad un risultato lampante: oggi chi agisce secondo l’etica dei principi (e basta) è colui che trova nomignoli offensivi a chi non è dalla sua stessa parte; è colui che al confronto sostituisce l’offesa personale e sociale; è colui che, trovandosi in una situazione che non rispecchia i suoi principi, preferisce scappare e non combattere per cambiarla.

    In tutto questo, chi, invece, rappresenta l’unione delle due etiche? Oggi chi incarna l’etica dei principi e l’etica della responsabilità, insieme, è colui che vive la politica come un servizio civile permamente, ponendo la prospettiva al centro del suo pensiero politico. Oggi agisce con tale metodo chi guarda oltre l’utilitarismo, chi offre una prospettiva lungimirante, frutto di un sogno moderno, di un sentirsi parte del mondo. Oggi essere “bi-etico”, per dirla con una metafora, significa immaginare il mattone ideale e come costruirci una casa, e non meramente immaginare il mattone perfetto né, tantomeno, immaginare solamente come prendere un mattone e unirlo ad un altro con del cemento. Probabilmente l’esempio è un po’ tortuoso, ma, dal mio punto di vista, rende l’idea.

    Oggi abbiamo paura a definirci politici di professione, perché la politica si è trasformata in un semplice insieme di privilegi e, quindi, il politico di professione viene visto come colui che di lavoro fa il “privilegiato”. Ma non confondiamo la politica come professione con i diversi ruoli che un politico può occupare. Il ruolo non fa il politico e viceversa. Si fa politica ogni giorno, indipendentemente dal ruolo ricoperto o dalla posizione nella società. Chiaramente, c’è chi sviluppa il proprio pensiero politico una volta all’anno (in media) – durante le elezioni, nella scelta del candidato da votare – e chi, invece, fa della politica la propria vita e del proprio pensiero politico il suo pane quotidiano e il perno su cui ruota il proprio agire. Non dobbiamo disprezzare né l’uno e né l’altro modo di intendere la politica – sono il risultato del libero arbitrio dell’uomo e del destino – chi di noi ha scelto la propria vocazione?. Il rispetto è cosa fondamentale per gettare le fondamenta di una società che spiani la strada al corso naturale delle cose e, magari, alla nascita di una classe politica “bi-etica” e non più “mono-etica”.

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  • Il conto salato di sto…

    Stefano Feltri, sul Fatto Quotidiano, parla di un amaro destino che tocca e toccherà a coloro che, purtroppo (sue parole), studiano o decideranno di studiare materie umanistiche all’università.

    Tra qualche settimana molti studenti cominceranno l’università. I loro genitori che si sono laureati circa trent’anni fa potevano permettersi di sbagliare facoltà, errore concesso in un’economia in crescita.

    Sbagliare facoltà. Sbagliare. Chi può dirmi se ho sbagliato o meno facoltà, all’infuori di me? Nessuno. Perciò, al caro Feltri dico che è meglio farsi gli affaracci propri e che l’ingerenza è brutta cosa sempre, figuriamoci riguardo ad un argomento delicato come quello della scelta degli studi universitari.

    Ma vi pare mai possibile che debba dedicare la mia vita a qualcosa che mi riempia le tasche e non il cuore? Ma è mai possibile che si debba intendere la vita come un semplice percorso che ha un fine ben preciso? Ma è mai possibile che io debba leggere una cosa del genere e che mi debba vergognare di aver perso un minuto del mio tempo nel farlo?

    Se Feltri voleva creare scalpore nel scrivere un articolo del genere, devo stroncare il suo entusiasmo: ormai sappiamo che cani e porci possono scrivere su un giornale e pretendere di avere la verità in tasca. Roba già vista.

    Noi continuiamo ad impegnarci per una società che accolga a braccia aperte ogni scelta libera e coscienziosa. Nessuno si senta legato nelle scelte di vita – perché è di questo che stiamo parlando – da interessi economici. Nessuno potrà mai dirti quanto guadagnerai, quanto e quando lavorerai e se farai quello che hai sempre sognato. Ognuno per la propria strada. Il mondo ha ancora bisogno del variegato e non del grigiore delle scelte come “investimento”.


  • Far funzionare il mondo

    Minuti, ore, giorni, settimane, anni passati nel capire come va il mondo, a come farlo funzionare e poi provarci. Questa potrebbe essere una definizione esistenziale della politica e del suo essere.

    Come farlo funzionare: il mondo funziona a modo suo, è chiaro, ma quando poi ci si rende conto che con impegno e passione si possono costruire dalle piccole alle grandi cose, allora lì la politica ha raggiunto il suo punto più bello.

    A Monte Sant’Angelo, una cittadina in provincia di Foggia, il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Un gruppo di giovani – che dedicano il loro tempo a far funzionare il mondo che lo circonda – aveva denunciato da tempo tutti quei soprusi che hanno portato all’epilogo, pagandone un caro prezzo. Minacce, atti di violenza e intimidazione. A Giovanni, giovanissimo consigliere comunale, ad esempio, gli hanno incendiato l’auto. Aveva denunciato una manifesta illegalità nella gestione dei servizi comunali.

    Oggi, a Giovanni e a quei ragazzi di Monte Sant’Angelo dico di non demordere e che il Comune sciolto per mafia è una sconfitta per la criminalità ma non per il mondo e per chi, come loro, cercando di farlo funzionare al meglio.


  • A tutto c’è un limite (?)

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  • “Cambiano nomi ma son sempre quelli”

    Come non poteva essere più chiaro, Sergio Staino, su l’Unità di oggi? Vi consiglio vivamente di leggere questa lettera indirizzata a Gianni Cuperlo. Davvero, è una lettera illuminante sotto molti aspetti.


  • Carabinieri e Forestale, grande opportunità

    Credo che l’accorpamento del Corpo Forestale dello Stato all’Arma dei Carabinieri, a seguito della riforma della PA non sia una nota negativa, anzi, credo che dia lustro e forza a chi, ogni giorno, custodisce l’ambiente che ci circonda e a chi lavora per salvaguardare l’ordine pubblico e la sicurezza delle nostre città. Sono sempre stato fiero dell’Arma, della Polizia e di tutte le Forze Armate, forse perché metà della mia famiglia è stata ed è al servizio del Paese nelle fila delle FF.AA.
    Non capisco quelli che adesso stanno sostenendo una petizione online per impedire l’accorpamento. Accorpare significa ridurre gli sprechi, significa avanzare nella direzione giusta, avvicinando le nostre Forze dell’Ordine agli standard europei, migliorando gli investimenti lì dove servono.


  • Due cose sul Mezzogiorno e sulla Direzione PD di oggi

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    Oggi, alle 15, ci sarà la Direzione nazionale del Partito Democratico. Tema: Mezzogiorno. Il motivo? È servito il documento della SVIMEZ per smuovere un po’ le acque e per capire che il Sud non se la passa proprio benissimo (ma neanche malissimo, sotto certi aspetti, per dire).

    Subito dopo l’allarme proveniente da quei dati, che parlavano di un’Italia divisa in due, con differenze che si allargano sempre più, il Ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, ha subito annunciato un piano di 80 miliardi sulle infrastrutture; oggi sul Corriere della Sera si parla di un fondo di 100 miliardi proveniente dall’Unione europea.

    Insomma, l’avete capito? Il problema del Sud è che non ci sono soldi da spendere, e con più soldi riusciamo a risolvere il problema del Mezzogiorno. Poveri gufi, tutti quelli che credono che il problema sia culturale e politico. Ne faremo brodo.

    Lanciato il progetto della banda ultra-larga. Finalmente, diremmo, anche se, per esempio, la Puglia ha cominciato ad installare sul proprio territorio la fibra ottica da un po’ di tempo a questa parte, attraverso l’utilizzo dei fondi comunitari. Devo dire che è stato fatto un ottimo lavoro, anticipando i tempi del Governo nazionale.

    Ma tornando a noi e ai famosissimi e sempre sbandierati “più fondi per il Sud”, è chiaro che per l’ennesima volta non comprendiamo il vero problema di questo divario socio-economico-politico che ha tranciato l’Italia in due. I soldi non faranno la differenza, ma saranno semplicemente uno dei tanti strumenti a disposizione, ma non saranno i più importanti. Lo strumento più importante è la testa.

    Il Mezzogiorno non puzza. Il Mezzogiorno ha tutte le carte in regola per competere sul mercato, per essere forza trainante di un Paese, ma soprattutto per non essere trattata come ultima ruota del carro. Un esempio tra tutti, l’azienda di Monopoli (BA) che ha fornito il Giappone di alcuni pezzi per i treni ad altissima velocità di ultima generazione.

    Vera sfida? Pensare che Bari e Milano non siano così distanti tra loro e che ipotizzare eventi di caratura internazionale (oltre che nazionale) in una città del Sud non sia eternamente impossibile. Bisogna riportare il Sud al centro dell’Italia e dell’Europa.

    Tutto qui? Certo che no. Cambiare atteggiamento verso chi manifesta un disagio, evidenzia un problema. Non sono piagnoni quelli che vogliono delle risposte o cercano di darle. Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerne l’esistenza. Credo che questo non tutti lo abbiano capito (o non vogliono capirlo).

    Dunque? Cambiare atteggiamento su tutta la linea. Il Mezzogiorno cambierà quando a cambiare sarà la cultura, il senso civico, quando Europa non sarà semplicemente sinonimo di “Fondo Sociale Europeo”, “Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale” o “Fondo per le Aree Sottoutilizzate” e di qualche cartello di opera pubblica qua e la, ma quando sarà sinonimo di modello di sviluppo, di modello civico. Il Mezzogiorno cambierà quando la politica riuscirà a realizzare un sistema di sviluppo capace di non considerare il Sud e il Nord come due parti geografiche e diverse del Paese, ma come due modelli culturali e come tale partire da quei modelli per creare un sistema capace di saper trarre il massimo da ciò che rappresentano, da ciò che è insito nella Storia di ogni territorio.

    Non c’è errore più grande nel credere che ci sia un pezzo d’Italia che ne rincorra un altro. In questo momento le direzioni sono divergenti. Dobbiamo lavorare per un modello di sviluppo che accosti le due traiettorie, ma mai immaginandole come una dietro l’altra. L’abbiamo fatto e abbiamo sbagliato, ogni volta.

    Spero che nella Direzione di oggi si possa illustrare un nuovo panorama per il Mezzogiorno, dove i governatori delle regioni meridionali (tutti PD) sappiano sfruttare il loro ruolo e che il Governo non intenda il loro impegno come un ostacolo alla propria azione o, peggio ancora, una rivolta.

    Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno.