• Il Don Giovanni al tempo dell’Intelligenza Artificiale

    Il Don Giovanni al tempo dell’Intelligenza Artificiale

    Saremo sedotti e abbandonati dalle macchine?

    Sono le 7.30 del mattino, fuori c’è bel tempo ma, nel pomeriggio, al 79% pioverà. Lo dice l’app del meteo e – si sa – ormai gli algoritmi ne sanno più di noi su tutto, previsioni meteo incluse. Mentre penso ai proverbi che mia nonna materna era solita raccontarmi quando le intemperie cavalcavano verso di noi dall’orizzonte, metto in atto la mia solita routine della colazione, fatta di podcast sulla rassegna stampa del giorno e un veloce “zapping” tra i feed dei miei profili social.

    Gatti. Gatti. Panorami mozzafiato accompagnati da musiche epiche. La signora Nunzia che, da Bari Vecchia, ci racconta il menu delle domeniche estive. Due pubblicità: abiti sartoriali su misura (perché non bastano le telefonate con cui ti offrono una pochette in omaggio) e un’applicazione dalle doti stupefacenti che sono portato ad approfondire.

    Dice di essere la trasposizione dell’Intelligenza Artificiale generativa di ChatGPT su un’app per smartphone. Il mio pollice era pronto ad andare oltre, quando la pubblicità mostra un caso applicativo: delegare al chat-bot la scrittura di un messaggio “perfetto (cito il copy, ndr) con cui scaricare il proprio partner”. Ah!

    Hey Siri! Ricordami, quando torno a casa, che devo fare la lavatrice dei delicati.
    Okay! Te lo ricorderò
    .

    Scappo in ufficio e mi chiedo come sia possibile ritenere accattivante (a tal punto da basarci del marketing) l’idea di affidare ad un bot le parole con cui interrompere una relazione con un altro essere umano.

    Hey Siri! Che tempo farà oggi?
    Oggi, il cielo sarà sereno. La temperatura sarà di circa 25 gradi. Durante la notte sarà di circa 14
    .

    Chi la spunterà tra l’app del meteo e Siri?

    In effetti, ChatGPT può scrivere (quasi) tutto e ho voluto, quindi, verificare le sue doti da “ghost writer spacca cuori”. Ecco cosa mi ha proposto, quando ho chiesto di scrivere per me un messaggio con il quale interrompere una relazione sentimentale:

    “Ciao [Nome del tuo partner],
    Mi dispiace che debba dirti questo, ma ho bisogno di parlarti di qualcosa di importante. Ho trascorso molto tempo a riflettere su di noi e sul nostro rapporto, e ho capito che non sono più felice come una volta. Penso che sia meglio per entrambi prendere strade separate.
    Mi rendo conto che questa notizia può essere difficile da accettare e mi dispiace se ti sto causando dolore. Tuttavia, credo che sia importante essere onesti l’uno con l’altro e fare ciò che è meglio per la nostra felicità individuale.
    Voglio che tu sappia che ci tengo a te e che rispetto profondamente il tempo che abbiamo passato insieme. Abbiamo condiviso momenti preziosi e mi porterò sempre nel cuore i ricordi che abbiamo creato. Ma credo che sia giusto per entrambi cercare la felicità altrove.
    Ti prego di capire che questa decisione non è stata presa alla leggera e spero che tu possa trovare la serenità e la felicità che meriti. Sarà difficile per entrambi, ma sono convinto che col tempo potremo superare questa fase e trovare la nostra strada verso il futuro.
    Ti auguro il meglio nella tua vita e spero che tu possa trovare l’amore e la felicità che meriti. Sarai sempre una persona speciale per me e ti porterò sempre nel mio cuore.
    Ti ringrazio per tutto ciò che hai dato alla nostra relazione e per tutto il supporto che mi hai offerto. Ti prego di prenderti il tempo necessario per elaborare questa notizia e, se vorrai parlare, sarò qui per te.
    Addio, [Nome del tuo partner].
    Con affetto, [Tuo nome]”
    .

    Ora, al netto che lasciarsi tramite messaggio è una cosa abbastanza triste senza la necessità di scomodare un bot, il risultato non è male e può essere anche al di sopra delle comuni aspettative. In definitiva, per qualcuno potrebbe davvero essere una manna dal cielo avvalersi del supporto di un’IA per fare il lavoro più difficile: trovare parole migliori del classico “non sei tu! Sono io il problema!”.

    E se domani i bot non si limitassero solo a proporci dei testi ma a sostituirsi a noi in tutto e per tutto? Questa domanda è, chiaramente, retorica. Perché c’è già chi ha pensato a questo e da diverso tempo: ad esempio, è di ormai 5 anni fa la conferenza in cui Sundar Pichai presentava Google Duplex, una funzione AI-based che permetterebbe all’assistente vocale di Google di prenotare, ad esempio, un taglio di capelli o un tavolo per 4, dialogando al telefono con una persona in carne ed ossa dall’altra parte della cornetta (vedi prossimo video). La cosa interessante è che quando questa conferenza ha avuto luogo, il GDPR attendeva ancora di essere applicato.

    Nel frattempo, fuori piove. L’algoritmo dell’app del servizio meteo è stato più accurato di quello di Siri.

    E se un’assistente vocale con un’Intelligenza Artificiale ci chiamasse per lasciarci con la contumacia dell’ormai ex amante?

    Pronto?
    Ciao, sono l’assistente virtuale di ALFA. Ti chiamo per dirti che ALFA ha deciso di interrompere la relazione con te. Ma prima che ti spieghi le ragioni, ti invito a consultare l’informativa privacy, ricevuta via SMS, per ottenere maggiori informazioni su come tratto i tuoi dati personali.”

    Mentre fuori dalla finestra la pioggia si è trasformata in grandine (con buona pace di Siri), penso a quanto ci si stia impegnando nel governare lo sviluppo e l’impiego dell’Intelligenza Artificiale e mi chiedo se arriveremo davvero ad un utilizzo così pervasivo di questa tecnologia  da farci sostituire non soltanto in certi lavori e nelle attività che richiedono una particolare complessità di analisi, ma anche in quelle che sono le primordiali esigenze umane: le relazioni con altri esseri viventi della nostra specie.

    Il gioco è diabolico e la mente può raggiungere infiniti casi applicativi dell’Intelligenza Artificiale in tale contesto. Pensiamo al desiderio di voler intrattenere interlocuzioni con più persone contemporaneamente, mentre noi ci dedichiamo ad altro, fosse anche leggere un libro o dormire beatamente. Un algoritmo, a cui sono stati dati in pasto decine se non centinaia di proprie chat, scrive e risponde ad altre persone con il nostro stile di scrittura (e magari con gli stessi errori grammaticali). Lo stesso algoritmo che può generare, alla fine del proprio lavoro di ghost writing un report per sapere con quale persona è più probabile che si riesca ad organizzare un aperitivo o una cena.

    Cosa direbbe Kierkegaard se il Don Giovanni facesse uso di un’Intelligenza Artificiale per sedurre le proprie donne? Che fine farebbe il «tempo» necessario – per il “seduttore psichico” – per predisporre i suoi piani e, anzi, reso parte dei suoi strumenti di seduzione, se questo «tempo» venisse (quasi) azzerato dall’intervento di una macchina capace di sostituirsi al seduttore? E cosa ne sarebbe del godimento provato dal Don Giovanni nel sedurre e condurre le sue donne ad uno stato di totale soggiogamento, se questo risultato venisse raggiunto da un bot dotato di Intelligenza Artificiale e sostituitosi al Don Giovanni grazie al machine learning?

    Tornato a casa, Siri mi ricorda che devo fare il lavaggio dei delicati e mentre lascio che un’assistente vocale mi ricordi cosa devo fare, mi auguro e spero che nel processo che ci porterà ad affrontare l’Intelligenza Artificiale nella nostra vita quotidiana, da qui ai prossimi anni, ci siano non solo delle regole dettate da norme o da patti intergovernativi, ma anche la consapevolezza che i piani siano e debbano restare ben distinti: da una parte l’essere umano, pieno di difetti e sentimenti e per questo unico; dall’altra l’Intelligenza Artificiale, che dagli esseri umani può imparare tutto, fuorché cosa voglia dire essere un autentico essere umano, con i suoi difetti e sentimenti e per questo, mai unica.

    Hey Siri, buonanotte!
    Buonanotte, Davide. A Domani! Vuoi conoscere le previsioni meteo previste per domani, a Roma?
    No, grazie. Come se avessi accettato!
    .


    Questo articolo è stato pubblicato su Gli Stati Generali.


  • Raccontare la salute mentale

    Raccontare la salute mentale

    Partendo dalle esperienze di tutti noi, la salute mentale può trovare la sua giusta narrazione. Bistrattata dai più, ritenuta come il “male del secolo” da altri o, peggio, una “devianza” da combattere con lo sport e le attività culturali.

    L’idea che abbiamo delle cose può condizionare il nostro approccio con loro, e questo vale anche rispetto ai problemi del nostro tempo.

    Vorrei provare a raccontare la salute mentale partendo dalle esperienze di chi la vive quotidianamente, nella sofferenza o nel più generale disorientamento che un disturbo psichico può generare. Sia chiaro, dobbiamo intendere come disturbo psichico qualsiasi cosa che contrasti con il nostro benessere psicologico: dall’ansia agli attacchi di panico, dalla depressione all’hikikomori, dalle fobie ai disturbi alimentari.

    Ringrazio, sin d’ora, chi vorrà partecipare a questa indagine. Non potrò sapere chi sarete (è anonimo e tale restarà). Ma se parteciperete in molti, mi sarà possibile realizzare un progetto editoriale che spero possa essere di aiuto a moltissime persone. Alcune vostre storie, infatti, potrebbero diventarne protegoniste, cercando di analizzare alcuni aspetti che potrebbero essere utili a chi, allo stesso modo, vive un’esperienza simile. Perché anche il convincere una singola persona a rivolgersi ad un professionista della salute mentale, per me significherebbe molto.

    [Sondaggio terminato]


  • Coraggio PD – Intervento di Davide Montanaro (29/10/2022)

    Coraggio PD – Intervento di Davide Montanaro (29/10/2022)

    Sabato scorso, a Roma, abbiamo ridato dignità alla Politica. Eravamo più di 600 persone, tutti con le nostre esperienze e le nostre passioni sulle spalle. Ho avuto il grande onore di contribuire alla sua riuscita, prima con l’organizzazione e poi con il mio intervento sul tema di cui mi occupo da più tempo: la comunicazione politica.

    Il Partito Democratico ha sempre avuto una relazione difficile con la comunicazione, ma cospargersi il capo di cenere non ci porterà da nessuna parte. Bisogna ricostruire tutto, anche il modo con cui decidiamo di pensare e comunicare. Serve approfondire i problemi, studiarli a fondo.

    Bisogna ponderare ogni parola perché le parole sono lo strumento fondamentale per raccontare l’idea di Paese che immaginiamo e per la cui realizzazione ci candidiamo ad ogni livello.

    Nelle mie parole troverete un po’ di emozione. Quell’emozione che mi ha portato a commettere – beffardamente – due errori di comunicazione: l’esempio non era “dinamico” ma “virtuoso” (vai a sapere la mia mente come li ha associati tra loro) e l’uso del termine “patologie” al posto di “disturbi” in relazione alla salute mentale. È giusto chiamarli disturbi e non altro, perché le patologie sono altra cosa e le parole servono anche a riconoscere la vera natura delle cose.

    Grazie a tutti. Mi sono sentito a casa mia. #CoraggioPD


  • Il tempo è vita

    Il tempo è vita

    Io l’ho fatto il cameriere. Una stagione estiva di molti anni fa. Andavo ancora al liceo.

    Iniziavo il turno alle 18 in punto e terminavo alle 6 del mattino. Qualche volta anche più tardi.
    12 ore della mia giornata le passavo a lucidare bicchieri, portare piatti a tavola e poi, sul finire, lavare tutto il locale insieme ad altri ragazzi, mentre fuori il sole ritornava.Il tutto, per qualche banconota e la magra soddisfazione di aver guadagnato qualcosa per potermi pagare, senza chiedere aiuto a nessuno, una cena fuori o potermi togliere qualche sfizio.

    Ma al netto di quanto guadagnassi, ciò che rimane evidente è il tempo che quel mestiere sottrasse al mio unico periodo di libertà, lontano dagli impegni scolastici e dalla frenesia che riprendeva ogni inizio settembre. Eppure l’ho fatto per mia scelta, perché è così che dovevano andare le cose quella volta.

    Provo grande stima verso chi fa questo lavoro ma io, oggi, non l’avrei più fatto.

    E non perché ci si attacca al denaro o si è “choosy”, come qualcuno ci apostrofò qualche tempo fa, ma perché è vero quel che dice, suo malgrado, lo chef La Mantia: il covid ha cambiato le priorità delle giovani generazioni.

    Ed è giusto così.

    Il Covid ha messo in evidenza come il tempo passato a fare le cose che ci rendono felici e ci gratificano sia preziosissimo. Per tale ragione, il lavoro non deve esserci a prescindere ma deve essere di qualità e deve avere rispetto della vita del lavoratore.

    Un lavoro alienante, che assorbe tutte le energie e il tempo del lavoratore, non è vero lavoro. È un supplizio e 1400€ di paga non valgono quanto il desiderio di essere davvero felici.

    La concezione del lavoro e del tempo è cambiato, perché è cambiato il mondo. E chi non se ne rende conto è destinato a scontrarsi con la realtà e, presto o tardi, le sue convinzioni andranno in frantumi. Come una macchina durante un crash test.

    A tutti i tycoon, gli imprenditori e gli chef che riempiono pagine di siti e giornali con le loro dichiarazioni contrariate, una chiave di lettura e un consiglio: le condizioni esterne non sono modellabili a piacimento di chi le subisce, ma sono frutto di un cambiamento collettivo, spinto da fenomeni sociali anche di grande portata. La pandemia è tra questi.
    O il modo di fare impresa cambia e si adatta alle nuove esigenze, oppure sarà presto soppiantato da un nuovo paradigma sociale che terrà fuori tutti coloro che sono stati ciechi e cinici davanti all’evidenza.


  • Quello che gli altri non vedono (o fanno finta di non vedere)

    Quello che gli altri non vedono (o fanno finta di non vedere)

    Quello che gli altri non vedono (o fanno finta di non vedere)

    Simone Biles, campionessa olimpica statunitense, la più forte ginnasta (in attività) al mondo, ha deciso di non partecipare ad alcune delle attese gare olimpiche in programma a Tokyo 2020.

    Ha ritenuto giusto ritirarsi, perché aveva bisogno di fare quadrato su sé stessa, potersi prendere cura della propria salute mentale. Un gesto che ha lasciato di sasso moltissimi. “Salute mentale?” sarà stata la domanda che ha riecheggiato nelle menti dei più. “Ma come, salute mentale? In che senso?”. Ecco, “in che senso”?

    Spesso gli atleti sono presi come esempio di tenacia, equilibrio e impegno nel raggiungere i propri obiettivi fisici e, dunque, sportivi. Eppure, nessuno, almeno fino ad ora, si è posto il problema di cosa ci sia dietro il fisico scolpito e quella tenacia che contraddistingue i vincenti. Qualcosa che nessuno può vedere, eccetto l’atleta stesso: l’orgoglio ferito, l’ansia, lo stress, il desiderio di ritrovarsi in un altro posto, di voler tornare indietro per fare scelte diverse. Qualsiasi cosa che vi venga in mente e che meriti tutte le attenzioni del mondo, perché la salute mentale è fondamentale quanto e forse più di quella fisica.
    Perché con una gamba o un braccio fuori uso, con impegno e voglia di riscatto, puoi riuscire a vivere serenamente e senza alcun ostacolo alla tua realizzazione. Ciò non può dirsi quando c’è qualcosa che non vada nella nostra testa: i limiti mentali sono difficili da superare con la sola volontà. Serve impegno e delicatezza, voglia di aprirsi agli altri e la fortuna di avere accanto persone in grado di ascoltarci e aiutarci.

    Più di quanto possa ritenersi per quella fisica, la nostra salute mentale ha un estremo bisogno dell’altro. Non è una battaglia che possiamo vincere da soli, in un epico 1 contro 1. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci prenda per mano e ci faccia sentire amati, accettati e compresi. Ecco perché la scelta di Biles è una scelta coraggiosa: perché, nella nostra società moderna, il tema della salute mentale è relegato agli ultimi posti, privato di qualsiasi rilevanza dinanzi agli sviluppi quotidiani della nostra vita. Eppure, è la cosa più rilevante tra tutte.

    La stigmatizzazione è dietro l’angolo, la tendenza a chiudere nel guscio duro del tabù la salute mentale è elevatissima. Sono moltissime le persone incapaci di comprendere davvero quale sia il problema, eppure da qualche parte dobbiamo cominciare.

    Titolo apparso su un quotidiano nazionale italiano

    Qualche giornale italiano ha ritenuto corretto apostrofare il tutto con “Ho a che fare con i demoni”. Seppur ritengo questa trascrizione come un mal riuscito tentativo di tradurre in italiano le dichiarazioni di Biles (“demons” in inglese può significare anche “cattivi pensieri“), è probabile che non ci sia posti neanche il problema se tale traduzione fosse consona oppure no. In effetti, nei romanzi come nelle nostre narrazioni quotidiane, chi ha un problema mentale è un “pazzo”, uno “squilibrato”, un “folle”, uno da cui stare alla larga. Appunto, un “demone”.

    Titolo del Times

    La Biles, dunque, ha aperto uno squarcio su una fitta tenda di ipocrisia. Un gesto che trova la sua ispirazione anche in Naomi Osaka e nel suo ritiro dal Roland Garros, come ha avuto modo di ribadire la stessa ginnasta americana, in conferenza stampa.

    Di salute mentale se ne deve parlare e bisogna affrontare il tema con assoluta maturità e lucidità, provando a dare risposte e soluzioni concrete, sostenendo chi ne ha bisogno e, soprattutto, chi non sa ancora di averne.

    Per questo, a Simone Biles bisogna dire grazie. Grazie per aver avuto il coraggio di trattare un tema così delicato quanto importante.


    Chi segue il blog o il sottoscritto da diverso tempo sa che del tema della salute mentale ne parlo da diverso tempo. Da ultimo, era stato oggetto della prima puntata del mio podcast, Ithaka. La trovate sulle principali piattaforme di streaming.


  • Vaccinare. Vaccinare. Vaccinare.

    Vaccinare. Vaccinare. Vaccinare.

    Non bisogna allentare la presa sui vaccini.

    Questo piano B del Viminale, di cui conosciamo gli stralci, per il quale il green pass obbligatorio verrebbe sostituito dalle sanzioni amministrative dissuasive verso i NoVax, non mi convince.

    Ci saranno davvero i controlli? Si faranno sanzioni a ogni singolo non vaccinato che non rispetti le norme?

    Io avrei adottato la linea dura: green pass obbligatorio per entrare in qualsiasi luogo aperto al pubblico e nei luoghi di lavoro, con sanzioni a chi non rispetta le regole.

    Non vuoi vaccinarti? No problem. Però non vai a lavorare, non vai in palestra, al supermercato (ci mandi un vaccinato), dal parrucchiere e in nessun’altra parte.


  • Rieccoci, finalmente!

    Rieccoci, finalmente!

    Oggi sono a Napoli, per il primo incontro nazionale dei Giovani Democratici.
    Che bello ritrovarsi dopo tutto questo tempo. Il COVID ci ha impedito di rivederci di persona. Oggi, quella condizione è definitivamente caduta.
    La nave dei GD ha navigato in acque agitate, negli ultimi 2 anni ed oggi siamo arrivati in un porto che non può dirsi sicuro se non in presenza dell’impegno di tutti.
    Da oggi, quell’impegno conta e ognuno di noi sarà fondamentale.

    Da ultimo, ma non certo per importanza, un grazie di cuore a chi ci sta ospitando: i Giovani Democratici. A loro e ad Ilaria Esposito e Francesco Yuri Forte il nostro grazie. A Caterina Cerroni e Raffaele Marras l’augurio di buon lavoro.


  • E la prima è andata!

    E la prima è andata!

    Foto di me con il cerotto non ne ho. Avrei voluto tanto scattare una foto a chi mi ha somministrato il vaccino, per immortalare il volto di chi mi ha permesso di uscire dall’incubo del COVID. Non l’ho fatto, ovviamente, per motivi che potete immaginare.
    Ma voglio ringraziare di cuore il personale dello Spallanzani: di una professionalità e gentilezza che avevo dimenticato esistessero.

    La prima dose è stata un’emozione forte.
    Lo è stata ancora di più, per me, perché l’ho ricevuta nel luogo dove l’incubo ebbe inizio – con il ricovero dei primi due pazienti a fine 2019 – e dove iniziò la sua fine – grazie al grande lavoro delle ricercatrici e ricercatori.

    Grazie ai medici e infermieri dello Spallanzani e grazie alla Regione Lazio per l’impeccabile organizzazione.

    Alla seconda dose! ?