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  • Matteo Renzi, come ognuno di noi, dice cose condivisibili – vedi il rinnovamento del partito e della classe politica – e cose che lo sono meno, come la riformulazione del sistema universitario con la creazione di 5 hub di ricerca verso i quali far confluire tutti i finanziamenti pubblici per Università e Ricerca. È questo il vero problema delle università italiane?

    Non è la prima volta che ne parla, lo ha fatto in campagna elettorale e lo sta facendo tuttora, peccato però, e qui gli va dato atto, che in moltissimi danno risalto a quello che fa e come lo fa, anziché ai contenuti. Io cercherò di essere controcorrente.

    Alla trasmissione “Otto e Mezzo” (vedi video), il Sindaco di Firenze ha detto pressappoco così:

    “Ma come sarebbe bello se riuscissimo a fare cinque hub della ricerca, cosa vuol dire? Cinque realtà anziché avere tutte le università in mano ai baroni, tutte le università spezzettatine, dove c’è quello, il professore, poi c’ha la sede distaccata di trenta chilometri dove magari ci va l’amico a insegnare, cinque grandi centri universitari su cui investiamo..le sembra possibile che il primo ateneo che abbiamo in Italia nella classifica mondiale sia al centoottantatreesimo posto? Io vorrei che noi portassimo i primi cinque gruppi, poli di ricerca universitari nei vertici mondiali. Ecco, per fare queste cose qui non si deve parlare di Berlusconi”.

    Ora, mettiamo in chiaro che non sono a favore dell’università da asporto (sotto casa, per intenderci), ma qui si esagera e soprattutto Renzi ha toccato solo una parte dell’immenso problema universitario: i finanziamenti alla ricerca.

    I finanziamenti alla ricerca? Vitali, necessari. Tutto questo ovviamente se vogliamo mantenere le nostre università pubbliche e non vogliamo fare la fine della Grecia che chiude università importanti e strategiche per il paese (una tra tutte, quella di Atene) a causa della crisi economica e dell’austerity tanto amata dalla Troika e della Merkel (fresca fresca di rielezione). Ma dov’è il punto? Dove, a mio avviso, Renzi sbaglia? E dove generalizza, senza conoscere la realtà studentesca e universitaria? A parte il fatto che il sistema universitario non è fatto solo di fondi e sedi “spezzettatine”, ma di molto altro.

    Beh, innanzitutto, sbaglia nel volere creare 5 centri di ricerca e far confluire tutte lì le risorse economiche per la ricerca ed il sostegno alle attività didattiche universitarie, questo perchè l’obiettivo della sinistra – una sinistra europea e soprattutto progressista – deve essere quello di creare un sistema universitario parificato – cioè con offerte formative di uguale livello, più o meno e stesse possibilità per tutti gli studenti – e dove venga sviluppato un sistema di integrazione, supporto e crescita, frutto di una maggiore e più forte integrazione tra università e territorio, proprio perchè li atenei e i politecnici non sono affatto dei laureifici ma dei luoghi di sviluppo culturale, sociale e tecnologico. Tutto ciò che farebbe bene al territorio circostante. Poi se vogliamo parlare di finanziamenti pubblici alle università e alla ricerca rispetto al nostro PIL, l’Italia non ha nulla di cui vantarsi visto che siamo 32° su 37.

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    Coniugare, quindi, università e territorio e rafforzare le realtà più importanti in tutta Italia e non solo le 5 migliori.

    Vogliamo una società con più laureati o con meno laureati? Attualmente il nostro Paese non se la passa per niente bene, visto che siamo il fanalino di coda in Europa per numero di laureati (21% circa, contro il 35,7% della media Ue – dati Eurostat) e a questo punto la domanda sorge spontanea: con la creazione di 5 hub di ricerca e con la chiusura di tutte le altre università, un ragazzo o una ragazza, di un’altra parte d’Italia, che vogliono proseguire gli studi ma che si trovano nel limbo per quanto riguarda il Diritto allo Studio, perchè magari la loro famiglia ha un reddito che per poco non gli consente di accedere alla borsa e in più non riesce a mantenere le spese per mantenere una stanza da fuori sede, come fa a raggiungere e vivere nella città dove questa università è situata?

    Quindi il Diritto allo Studio: prima di parlare di hub di ricerca, preferirei (sono sicuro non solo io) sentire come e dove attingere risorse per il sostenimento e rafforzamento del sistema del Diritto allo Studio, così da garantire a tutti coloro che ritengano importante gli studi, di poter accedere alle nuove hub renziane, magari senza indebitare i propri genitori o senza dover rinunciare al proprio futuro, proprio Adesso!

  • Pare che Campus X, la struttura che ospita 600 posti letto per studenti e docenti universitari, sia stato oggetto di un abuso “politico” da parte del Comune di Bari e delle società sportive.

    Come si apprende dai vari giornali, la struttura pare sia stata utilizzata per ospitare soggetti ricollegati agli enti e società sopra citate e che soprattutto si sia deviata l’utilizzazione di un servizio messo su per gli studenti universitari, a prezzi agevolati con servizi di prima necessità, per lo studio e la vita dello studente fuorisede.

    Non mi soffermo sul merito della questione, ma ci tengo a precisare un piccolo particolare, forse ennesimo ma importante, che non può passare innosservato: tutto ciò è semplicemente un fatto di cultura politica.

    Se il Comune di Bari acconsente all’utilizzo alternativo di quelle strutture, vuol dire che l’autore di tale autorizzazione non ha a mente il valore di quell’agglomerato, delle possibilità che può dare a 600 studenti fuorisede e che di certo si affianca ad un sistema di diritto allo studio già risicato sul territorio.

    Attenzione a quello che fate. Non siamo un paradiso del diritto allo studio: se ora incominciamo a convertire gli spazi per altre finalità, siamo a cavallo. Ma ovviamente noi vogliamo differenziarci sempre. Poi ci lamentiamo che il Sud venga schernito quotidianamente. Un pò di coerenza: ciò che la politica ha ormai perso da tempo e va riconquistata. Di certo, non con queste persone.

    Buona giornata.

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    Con il Rettore dell’Università degli Studi di Bari, Corrado Petrocelli, i Giovani Democratici della Puglia e la Rete Universitaria Nazionale a discutere di università e welfare studentesco. A Bari.

  • Leggevo, proprio qualche ora fa, un servizio de Linkiesta.it sul salario dei giovani laureati, con una differente prospettiva nel corso degli anni.

    A quanto pare, meno ti laurei e più guadagni. Quanto di più coerente ci possa essere con il messaggio meritocratico che questo Paese cerca di inviare al mondo intero da anni (con scarsi risultati).

    La riforma universitaria del 3+2, varata nel 1999 nell’ambito del processo di Bologna, ha istituito due livelli di preparazione accademica, consentendo agli studenti di valutare, dopo tre anni di università, se proseguire gli studi. È importante domandarsi se questi due anni aggiuntivi di istruzione siano compensati, al termine degli studi, da un “premio salariale”, in altre parole se valga la pena, da un punto di vista di guadagno, “sacrificare” due anni di lavoro (e sostenere costi aggiuntivi) per investire sulla propria formazione.

    Ecco il primo grafico in cui i dati sono a favore della tesi “meglio la zappa che la penna

    salario_laureati_uno_tre_cinque_anni

    Per non parlare della differenziazione salariale tra i settori, nel primo anno di lavoro dopo la laurea, dove, salvo qualche caso sporadico, la specialistica offre pochissime possibilità di accedere ad un trend salariale migliore (visti i sacrifici nell’aver studiato per altri 2 anni). Altra cosa fondamentale, da non sottovalutare, è che l’età di chi si ferma alla triennale, nel momento della laurea, è più elevata rispetto a chi continua con gli studi.

    salari_laureati_disciplina

    Riportando dei dati apparsi sull’articolo

    Inoltre, il 40% di loro trova un impiego di natura stabile contro il 33% dei laureati con specialistica. Ancora più importante è il fatto che il 37% dei laureati triennali sono impiegati in un lavoro che avevano cominciato precedentemente al conseguimento della laurea triennale (e questo può spiegare la maggiore durata negli studi) mentre nel caso dei laureati alla magistrale questa misura si riduce al 21%.

    Queste differenze si ampliano ancora di più se consideriamo gruppi disciplinari con premium negativi. Per esempio, si osserva che sostanzialmente metà dei laureati triennali in discipline letterarie (filosofia, lettere e storia) prosegue un lavoro iniziato prima della laurea. Inoltre, il 57% di questi studenti dichiara che la laurea triennale ottenuta non è per nulla efficace nello svolgimento della attività lavorativa.

    Sembrerebbe dunque che molti laureati di primo livello decidano di continuare un lavoro iniziato prima del conseguimento del titolo; lavoro che in alcuni casi non ha nulla a che vedere con il tipo di laurea conseguita (1). È possibile, tuttavia, che questi studenti non trovino posizioni lavorative che consentano un avanzamento professionale rilevante, data la mancanza di una successiva laurea specialistica. Di conseguenza si dovrebbe osservare nel tempo un processo di “recupero“ da parte degli studenti in possesso di conoscenze più avanzate in virtù del titolo magistrale.

    Ma c’è un ma in tutto questo, se pur in modo abbastanza eterogeneo: nel corso degli anni chi ha ottenuto una laurea specialistica ha visto il proprio salario aumentare, a differenza dei suoi colleghi con il diploma di laurea e lo possiamo vedere in questo ultimo grafico

    wage_premium

    Inutile dirvi quale, secondo me, dovrà essere la priorità per il nostro Paese, se vogliamo realmente uscire da questo pantano sociale, invertendo la rotta e dando vita ad una spirale virtuosa salario-consumo non indifferente. È vero sì che la politica, molte volte, la si fa con i numeri e i tatticismi (purtroppo), ma il vero sostegno alle famiglie deve necessariamente partire dal salario, da una maggiore capacità d’acquisto delle famiglie, senza inondare di tasse i cittadini, ma rendendo tutto più semplice, garantendo quel principio di autonomia economica, oggi quanto mai vitale.

  • Vi rendo noto un appello di studenti universitari, attraverso una sezione de La Repubblica.
    Il 21 e 22 maggio ci saranno le elezioni al CNSU (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari), un organo di estrema importanza, che lo ha visto protagonista nelle discussioni con il Ministro Profumo per le recenti riforme universitarie e di recente quella sulla suddivisione dell’Italia in tre macro aree, con differenziazione di calcolo del reddito massimo consentito per la partecipazione al bando delle borse di studio, la quale suddivisione vedeva il Sud fortemente penalizzato.
    Se vi va, vi invito a firmare questo appello, se volete approfondire, sempre su questa pagina trovate ulteriori informazioni.
    Si tratta di una semplice adesione, non vi verrà chiesta alcuna forma di contributo oltre 2 semplici minuti per compilare il modulo online e firmarlo!

    Clicca qui per la pagina dell’appello.

  • Ho appreso, questa mattina, la notizia che alcuni licei del nord, linguistici, scientifici, classici, hanno organizzato dei test d’ingresso a cui sottomettere i giovanissimi studenti delle medie che, l’anno scolastico prossimo, dovranno iniziare la scuola secondaria superiore.
    In un’Italia in cui il numero chiuso (all’università) molte volte sbarra la strada a ragazze e ragazzi che, a causa di problemi familiari, sono in difficoltà nel sostenere una competizione del genere, dimostrandosi una selezione discriminante e poco inclusiva, ora ci si mettono pure i presidi dei licei.
    Poco spazio? Ho conosciuto presidi che pur di dare la possibilità a tutti di fare la propria scelta, ha affittato succursali, mettendo al centro delle responsabilità l’ente preposto, la provincia.
    Ogni studente deve poter fare quello che vuole. Il futuro deve essere nelle mani di ogni ragazzo e ragazza, ecco perché spero ritirino questa iniziativa, ecco perché spero in una denuncia al Ministero.

  • Ulteriore attacco al welfare studentesco da parte del Governo Monti, in particolare, ad opera del Ministro Francesco Profumo. Per concludere in ‘bellezza’, il MIUR ha pensato di ridimensionare la distribuzione delle borse di studio, attraverso una rimodulazione dei criteri di assegnazione, diminuendo la soglia massima consentita per risultare idonei nell’assegnazione della borsa.

    Partiamo con ordine: in Puglia, ad esempio, il bando per l’assegnazione delle borse di studio comprendeva una suddivisione in due fasce: Fascia “A” con reddito inferiore o uguale a 11.500,00 €, con relativa priorità in caso di individuazione dell’assegnatario; poi la Fascia “B” con reddito compreso tra 11.500,01€ e 17.000,00€, con una leggera contrazione dei servizi economici a disposizione dello studente rientrante in questa fascia. (altro…)

  • Università, ricerca, istruzione superiore, al centro di ogni possibile dibattito politico? Giammai, sono in pochi, forse unici a parlare del ruolo fondamentale che ha nel nostro Paese l’istruzione, la coalizione Italia. Bene Comune è l’unica, non ci sono altre risposte.

    Devo dirvi la verità credo che per molto tempo il settore della formazione ha interessato i governi precedenti, tutti con un ministro che voleva lasciare il proprio cognome accanto alla parola “riforma”. Ora è giunto il momento di creare un progetto collettivo.

    Non sono per l’ennesima volta buone parole da svendere in tv o in qualche teatro, ma è, secondo me, la ricetta migliore.

    Un ministro non avrà mai il ricco bottino di esperienze che ricercatori, docenti e studenti, insieme, hanno sulle proprie spalle, neanche i loro consiglieri e sottosegretari, tutti quanti lontani anni luce dalla realtà reale degli atenei e delle scuole.  (altro…)